Quali caratteristiche ha la colonna vertebrale e le vertebre?
La colonna vertebrale costituisce l’asse longitudinale dello scheletro; è un pilastro robusto e solido, ma anche estremamente flessibile, essendo costituito da molti segmenti: le vertebre. Queste, articolandosi fra loro, permettono i movimenti della colonna in avanti, indietro, di lato e in rotazione. In particolare, ci sono 7 vertebre cervicali che costituiscono l’impalcatura del collo e sostengono il capo, 12 vertebre toraciche (dette anche dorsali) che si articolano con le coste e delimitano posteriormente la gabbia toracica, e 5 vertebre lombari, più robuste e massicce delle precedenti, che formano la “base” della schiena; il tutto appoggia sul sacro, osso costituito
Il midollo spinale è l’insieme delle cellule e delle fibre nervose che collegano il cervello alle strutture periferiche del corpo. In estrema sintesi, possiamo immaginare il midollo spinale come un cavo del telefono, attraverso il quale passano i messaggi elaborati dal cervello destinati ai muscoli e ai visceri del nostro corpo (comandi motori) e, in senso opposto, le informazioni di ritorno dalla periferia al cervello stesso (sensibilità).
Un qualsiasi evento patologico che interrompa la continuità di questo “cavo” determina l’impossibilità, da parte dei centri corticali, di comandare, sentire e quindi regolare tutto ciò che sta al di sotto della
Quali elementi compongono il midollo spinale e che funzioni svolgono?
A una sezione trasversale, il midollo appare costituito da una parte centrale grigia e da una periferica bianca; nella prima si concentrano i corpi dei neuroni spinali, mentre la seconda è la zona di passaggio delle fibre nervose che uniscono tra loro i diversi segmenti del midollo e il midollo al cervello.
La sostanza grigia (macroscopicamente simile a una “H”) è suddivisa in colonne (o “corna”):
la colonna posteriore (corno posteriore) contiene i neuroni sensitivi;
la colonna anteriore (corno anteriore) contiene i neuroni di origine delle radici anteriori (motoneuroni);
la colonna laterale contiene i neuroni del sistema nervoso vegetativo. Le radici anteriori
Che cos'è e quale funzione ha il sistema nervoso autonomo o vegetativo?
Il sistema nervoso autonomo o vegetativo è quella parte del sistema nervoso che controlla tutte le funzioni cosiddette viscerali (ritmo cardiaco e pressione arteriosa, sudorazione, minzione, peristalsi intestinale, defecazione, funzioni genito-sessuali).
Funziona in modo quasi del tutto indipendente dal controllo volontario, anche se non è esatto definirlo completamente autonomo, in quanto esistono vari collegamenti con il sistema nervoso somatico.
Viene suddiviso in simpatico e parasimpatico, i cui centri sono localizzati a differenti livelli del midollo spinale: questa diversa dislocazione assume un grande valore in caso di lesione midollare e, in rapporto al livello di lesione, spiega le differenti disfunzioni neurovegetative che ne conseguono.
I centri del sistema nervoso simpatico sono situati a livello del midollo spinale toraco-lombare, esattamente da T1 a L5. I centri del parasimpatico sono invece situati a livello del tronco encefalico e del midollo sacrale, più precisamente da S2 a S4.
Le funzioni svolte dai due sistemi sono solitamente antagoniste.
I dermatomeri rappresentano l’area della cute innervata dalla radice posteriore (sensitiva) di un singolo nervo spinale. I miomeri sono i muscoli innervati dalla radice motoria (anteriore) di ogni singolo nervo spinale.
Il dermatomero C6, per esempio, è costituito dalla cute della superficie laterale dell’avambraccio, del I e parte del II dito della mano.
Il miomero S1 è costituito dai muscoli flessori plantari del piede (tibiale posteriore, tricipite surale, flessore lungo delle dita).
Quali possono essere le cause di una lesione spinale?
Il midollo spinale può essere danneggiato in vari modi. Le lesioni più frequenti sono rappresentate dai traumi con frattura o lussazione vertebrale; più rare sono le lesioni mieliche post-traumatiche senza evidenza di frattura o lussazione.
Gli incidenti stradali rappresentano la causa più frequente di trauma vertebro-midollare; seguono le cadute accidentali, gli infortuni sul lavoro, i traumi sportivi, le ferite da arma da fuoco e i traumi da autolesionismo.
Tra le cause non traumatiche di lesione spinale ricordiamo le compressioni midollari (neoplasie intramidollari, neoplasie vertebrali primitive o secondarie, gravi cifoscoliosi, crolli e fratture vertebrali cosiddette “patologiche”, neoplasie delle meningi, cisti e processi infiammatori meningei, ernie discali, spondilodisciti, spondilosi cervicale), l’ischemia midollare, le mieliti (virali, batteriche, tossiche), le malformazioni vascolari midollari, la siringomielia e l’embolia gassosa (detta anche malattia da decompressione).
Una forma non eccezionale, di gravità variabile, di malformazione del midollo spinale è costituita dalla spina bifida.
Il livello di lesione è rappresentato dalla porzione più distale del midollo spinale in cui sia ancora integra sia la funzione motoria che quella sensitiva da entrambi i lati del corpo.
Pertanto, "livello di lesione C7" significa che il dermatomero C7 (cute della superficie posteriore del braccio e dell’avambraccio) e il miomero C7 (muscoli estensori dell’avambraccio) sono indenni.
Al di sotto di tale livello (da C8 in giù) sia la sensibilità che la motricità risultano in qualche modo compromesse.
Da ricordare che il livello lesionale corrisponde al livello neurologico, ma non (o raramente) al livello della lesione ossea: per cui a una frattura mielica della vertebra T8 non necessariamente corrisponderà un livello lesionale (neurologico) T8.
Immediatamente dopo il trauma, si instaura una fase definita di "shock spinale", che è clinicamente caratterizzata dalla soppressione di tutte le funzioni sottolesionali (motorie, sensitive e viscerali).
Vi sarà pertanto paralisi motoria, anestesia tattile e dolorifica, ritenzione urinaria e fecale (cioè impossibilità di urinare e defecare spontaneamente). Alla fase di shock spinale fa seguito la ripresa di attività sottolesionale (volontaria, spontanea, riflessa) con caratteristiche estremamente variabili. Qualunque ne sia la causa, la gravità e l'estensione del danno clinico dipendono dal livello midollare (cervicale, dorsale, lombare), dall'ampiezza della lesione (completa o incompleta) e dalla velocità con cui la lesione stessa
Che cos'è la disreflessia autonomica e quali sono i fattori scatenanti?
Tutte le lesioni complete al di sopra di T6 (emergenza dei nervi splancnici) possono accompagnarsi a fenomeni di iperreflessività autonoma. A volte sono presenti anche in caso di lesioni dorsali più basse; di solito si tratta di manifestazioni cliniche più blande e vengono pertanto definite come “sintomi simil-disreflessici”.
La disreflessia autonomica può insorgere dopo la fase di shock spinale (cioè a partire da 10-12 settimane dopo l’evento lesivo), quando il midollo che si trova a valle dell’interruzione, sempre se integro, riesce a recuperare un’attività riflessa autonoma.
Questa sindrome è l’espressione di una risposta fisiologica alterata
Con quali sintomi si manifesta la disreflessia autonomica?
Il quadro clinico, che si instaura gradualmente o in modo rapido, è caratterizzato da:
cefalea pulsante, a volte estremamente violenta;
ipertensione (a volte fino a 300 mm Hg) o comunque pressione significativamente più alta di quella abituale;
tachicardia o bradicardia;
sudorazione;
ritenzione urinaria;
altri sintomi minori (congestione nasale, eritema, orripilazione, midriasi, dispnea, contratture muscolari agli arti inferiori e all’addome).
La crisi può manifestarsi con tutti o solo alcuni dei sintomi sopra descritti; l’unico costante è il rialzo pressorio.
Particolarmente pericolosi sono gli episodi acuti perché possono condurre a un arresto cardiaco o a un’emorragia cerebrale o retinica.
Non sono
Come si può affrontare la disreflessia autonomica e qual è l’eventuale terapia?
Poiché l’esperienza clinica ha individuato tutte, o quasi, le cause di questa sindrome, la prima regola da seguire è quella di informare (da parte del medico) e di apprendere (da parte del paziente e dei suoi familiari) quali ne siano i fattori scatenanti, per cercare di prevenirli.
La sintomatologia va affrontata il più rapidamente possibile. I principali accorgimenti da adottare sono i seguenti:
Far sedere il paziente oppure sollevarne la testa per tentare di abbassare la pressione arteriosa.
Svuotare la vescica, meglio se utilizzando un catetere. In presenza di un catetere a dimora, controllarne la pervietà lavandolo delicatamente e accuratamente
Che cos'è la spasticità (o ipertono) e quali sono le cause?
Dopo una lesione spinale, il midollo entra in una fase di shock, durante la quale i muscoli sono flaccidi (“ipotonici”) e i riflessi assenti. In seguito, nella maggior parte dei casi, si assiste a una lenta ripresa dell’attività riflessa sottolesionale che porta alla comparsa di turbe del tono, quali la spasticità (o “ipertono”). Solo nei casi non frequenti di lesioni necrotiche che compromettono vaste aree del midollo (il più delle volte si tratta di lesioni arteriose, anche post-traumatiche o associate alla lesione traumatica, con necrosi midollare), la paralisi resta flaccida.
La paralisi resta flaccida, inoltre, in tutte quelle
Cosa si può fare per limitare gli effetti negativi della spasticità o dell'ipertono?
Quando l’ipertono assume una valenza decisamente negativa, e cioè quando limita l’autonomia del paziente, impedisce una corretta igiene personale o un adeguato nursing, costringe in atteggiamenti coatti le articolazioni o è fonte di dolore, si impone un trattamento adeguato che potrà essere, in relazione all’entità e alla localizzazione del sintomo, farmacologico e/o fisioterapico-riabilitativo e/o chirurgico.
Oltre a questi trattamenti, che verranno analizzati successivamente, si può agire con alcuni interventi di tipo pratico, quali:
il movimento passivo delle articolazioni per tutto il range articolare produce un effetto benefico sull’ipertono che può durare anche per pi
Quali trattamenti farmacologici e/o chirurgici possono essere adottati per curare l'ipertono?
Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, esistono vari farmaci che si sono rivelati utili: i più diffusi ed efficaci sono il baclofene, alcune benzodiazepine come il diazepam e il clonazepam e la tizanidina. Il dantrolene, in passato molto usato, non è più in commercio in Italia. Promettente sembra, ma ancora vincolata a una normativa restrittiva, la cannabis sativa. La clonidina, che è un farmaco antiipertensivo, è stata utilizzata per via transdermica (in cerotti) come antispastico con risultati controversi. Senza entrare nel dettaglio delle singole molecole e precisando che il trattamento farmacologico, in ogni caso, deve SEMPRE essere effettuato ESCLUSIVAMENTE su prescrizione del medico
Quali sono le basi fondamentali del trattamento fisioterapico-riabilitativo della spasticità?
Questo tipo di trattamento è basato su tecniche largamente diffuse e conosciute, la cui efficacia è comunque di breve durata e mai definitiva.
Ricordiamo lo stretching (stiramento) muscolare, la mobilizzazione articolare passiva, le posture (in particolare l'ortostatismo e la deambulazione), il rilassamento (eventualmente con biofeedback elettromiografico nelle lesioni incomplete), l'elettrostimolazione con elettrodi impiantati e con elettrodi di superficie (del muscolo antagonista, del muscolo agonista, del dermatomero), il confezionamento di splint funzionali inibitori, l'applicazione di freddo (crioterapia), l'anestesia locale. Il massaggio, che si utilizza diffusamente per rilassare le contratture della muscolatura sana, sembra meno efficace o addirittura controproducente sul muscolo spastico.
Per il trattamento della spasticità sono state proposte anche le onde d'urto, inizialmente nate per frantumare i calcoli renali e poi applicate anche a patologie degenerativo/microtraumatiche muscolo-tendinee. Infine, last but not least (ultima ma non meno importante), l'idrochinesiterapia che verrà approfondita più avanti.
Quali altre tecniche innovative si possono adottare per la cura dell'ipertono?
Tecniche più innovative sono rappresentate dal blocco del nervo mediante iniezione del farmaco (un anestetico locale, il fenolo, l’alcol etilico) in prossimità del nervo motore e dal trattamento con una particolare sostanza (tossina botulinica) iniettata a livello della “placca motrice”, cioè del punto in cui il nervo si mette in contatto con il muscolo spastico.
Si tratta di approcci che consentono di trattare in modo più selettivo l’ipertono, mirando l’intervento a singoli muscoli che possono ostacolare più di altri il recupero funzionale, senza ricorrere a un trattamento per via generale. Uno dei limiti di queste metodiche è rappresentato dalla relativamente breve durata d’azione e dal costo, a volte assai elevato.
Sempre più diffusa è l’utilizzazione dell’infusione continua di baclofene mediante una pompa impiantabile, direttamente nello spazio subaracnoideo (quello spazio ripieno di liquido che circonda tutto il midollo spinale), con il vantaggio di utilizzare dosi di farmaco estremamente più basse rispetto alla via orale, con una efficacia maggiore e minori effetti collaterali. Anche in questo caso, il limite è costituito dalla durata dell’impianto (6-7 anni) e dall’alto costo dell’infusore.
La spasticità o l'ipertono è sempre da considerarsi un fatto completamente negativo?
Non c’è dubbio che la spasticità o l’ipertono sia un problema che limita notevolmente l’autonomia del paziente con lesione spinale; spesso, anche il trattamento, sia esso farmacologico, fisioterapico o chirurgico, non riesce a risolvere completamente questo problema, che in molti casi rappresenta la conseguenza più severa della lesione spinale. Al paziente non resta che “resistere” tenacemente a questa situazione, seguendo scrupolosamente le indicazioni terapeutiche che gli sono state prescritte, senza dimenticare mai che, nella gestione della “patologia della persona con lesione spinale”, molto dipende dai comportamenti e dagli atteggiamenti che il soggetto mantiene nei confronti della propria malattia
Quale funzione svolge l'apparato urinario e come è costituito?
L'apparato urinario ha il compito di filtrare il sangue e di produrre, raccogliere ed eliminare l'urina come prodotto di scarto.
In particolare, i reni sono gli organi deputati alla filtrazione ("depurazione" dai prodotti di scarto) del sangue e alla produzione di urina. Sono situati nella cavità addominale, sotto il muscolo diaframma, e ricevono il sangue attraverso le due arterie renali.
Gli ureteri sono i due condotti attraverso cui l'urina, prodotta dai reni, raggiunge la vescica, dove viene raccolta prima di essere espulsa all'esterno del corpo attraverso l'uretra, che è un condotto di pochi centimetri e diritto nella donna, più lungo e con curvature nel maschio.
La vescica è l’organo preposto a raccogliere l’urina proveniente dai reni e a eliminarla durante la minzione. È un viscere a forma di sacco, le cui pareti sono costituite dal muscolo detrusore; riceve l’urina prodotta dai reni attraverso gli ureteri e comunica con l’esterno attraverso l’uretra. La funzione del muscolo detrusore è di espellere l’urina contraendosi durante la minzione.
A livello uretrale sono presenti altri due muscoli, lo sfintere liscio e lo sfintere striato, che, con la loro contrazione, impediscono che l’urina fuoriesca dalla vescica durante la fase di riempimento, rilasciandosi durante la minzione.
Il muscolo
Nella fase di riempimento, l’urina si accumula progressivamente nella vescica, distendendo il muscolo detrusore. Quando vi è una certa quantità di urina in vescica, avvertiamo una prima sensazione di “ripienezza vescicale” che ci avverte che il viscere si sta riempiendo. Quando la vescica è completamente piena ed ha raggiunto la massima capacità, avvertiamo un forte bisogno di urinare, che a volte può anche essere estremamente fastidioso: questo ci segnala che è necessario svuotare la vescica entro breve tempo. Durante questa fase, il muscolo detrusore non solo non si contrae, ma al contrario si lascia distendere, mentre lo sfintere liscio, automaticamente, e lo sfintere striato, sotto il controllo volontario, si contraggono per impedire la perdita di urina. In altri termini, quando si “tiene” per rinviare la minzione, si contrae volontariamente lo sfintere striato.
Quando si decide di urinare, si rilascia volontariamente lo sfintere striato: automaticamente, anche lo sfintere liscio si rilascia e inizia la contrazione del detrusore che provvede a svuotare la vescica.
Come si modificano le funzioni della vescica dopo una lesione midollare?
Dopo una lesione spinale, viene perduta la capacità di controllare volontariamente la minzione: come conseguenza, i pazienti diventano incontinenti o affetti da ritenzione urinaria, o entrambe le cose (il paziente perde urina ma non riesce a svuotare bene la vescica).
Nei giorni immediatamente successivi a un danno midollare, durante la fase di shock spinale, la paralisi dei muscoli della vescica (detrusore e sfinteri) è totale e flaccida; dal punto di vista clinico, pertanto, la minzione è impossibile e si verificano “fughe”, cioè perdite di urina, quando la vescica è piena.
Una volta terminata la fase di shock spinale, si osserva la ripresa dell’attività riflessa midollare, con quadri clinici diversi a seconda del livello di lesione.
In particolare, si parla di “vescica iperattiva” nelle lesioni al di sopra di S2 e di “vescica a contrattile” quando la lesione riguarda il cono midollare (S2-S4).
Questi due argomenti vengono trattati diffusamente alle pagine 65-71 di questo capitolo.
Che cosa si intende per vescica neurogena e come si può curare?
Con il termine "vescica neurogena" si definiscono le disfunzioni dell’apparato vescico-sfinterico conseguenti a malattie neurologiche di varia natura.
La vescica neurogena si osserva infatti in pazienti con patologie encefaliche, esiti di coma, malattie dei nervi periferici, ma soprattutto nelle patologie del midollo spinale.
La vescica neurogena secondaria a una lesione midollare richiede una attenta valutazione dei disturbi minzionali correlati; riveste un ruolo di primaria importanza nel percorso di cura, sia per le difficoltà di trattamento che per le gravi complicanze a cui il paziente può andare incontro.
In questa sede, tutte le volte che utilizzeremo il termine "vescica
Incontinenza e ritenzione urinaria: cosa sono e come si manifestano?
L'incontinenza urinaria si definisce come l'emissione involontaria di urina in luoghi e momenti inappropriati e socialmente inopportuni.
Nel paziente con lesione spinale si osserva:
incontinenza da sforzo (o stress incontinence) secondaria a sforzi fisici che aumentano la pressione addominale (colpi di tosse, starnuti, deambulazione, passaggi posturali);
incontinenza da iperattività detrusoriale, in assenza (o ridotta) sensazione di impellenza minzionale.
La ritenzione urinaria è rappresentata dall'incapacità di emettere urina (ritenzione totale) o di svuotare la vescica (ritenzione parziale). Nella lesione spinale, la ritenzione urinaria è determinata dalla paralisi (acontrattilità) del detrusore o dall'iperattività dello sfintere striato (e/o liscio) con mancata apertura del collo vescicale e dell'uretra.
Quali ausili esistono per l'incontinenza urinaria?
Gli ausili per l’incontinenza urinaria si dividono in ausili a raccolta e ausili con sistema ad assorbenza.
Gli ausili con sistema a raccolta sono rappresentati dai cateteri esterni o raccoglitori esterni di urina, costituiti da condom (in lattice o latex-free) autoadesivi o fissati al pene mediante fascette biadesive o collante. Il buon senso suggerisce di sostituire il condom quotidianamente, anche se il cambio può rendersi necessario più volte al giorno in occasione dei cateterismi; la manovra, da qualcuno utilizzata per risparmiare condom, di serrare la sacca e fare il cateterismo con il condom in sede non è da considerarsi
I presidi con sistema ad assorbenza, i “classici” pannoloni, sono costituiti da un supporto di materiale esterno impermeabile, fluff di pura cellulosa (di spessore maggiore nella parte centrale), con o senza polimeri superassorbenti, ricoperti di un telino ipoallergenico nel lato a contatto con la pelle.
Ne esistono di varie forme e misure per adattarsi al meglio alle esigenze e alle caratteristiche del paziente (pannoloni a mutandina, sagomati, rettangolari). Il loro uso non è privo di svantaggi: non impediscono del tutto il passaggio dell’urina all’esterno, favoriscono la macerazione cutanea, provocano sensazione di umidità e cattivo odore e necessitano di numerose sostituzioni durante la giornata. Come accessori possono essere utilizzate le mutande elasticizzate riutilizzabili (per indossare i pannoloni sagomati e rettangolari) e le traverse salvamaterasso, utili per proteggere gli effetti letterecci del paziente dalle urine e dalle feci.
Il raccogligocce è un ausilio ad assorbenza per l’incontinenza urinaria, “modellato” come una piccola tasca, all’interno della quale viene introdotto il pene. È indicato per piccole incontinenze (a goccia), con una assorbenza massima di 80 cc, più confortevole dei pannoloni tradizionali.
Il catetere è un dispositivo di varia foggia che consente lo svuotamento vescicale quando questo è impedito da deficit della contrattilità (paralisi) del detrusore o da ostacoli, anatomici (ipertrofia prostatica) e/o funzionali (“spasmo” dello sfintere striato e/o liscio) dell’uretra.
Il catetere può essere lasciato “a dimora” all’interno del viscere per tempi prolungati (cateterismo a permanenza) o solo per il tempo strettamente necessario allo svuotamento della vescica (cateterismo intermittente).
L’utilizzazione del catetere “a dimora” si è ultimamente molto ridotta a causa dei frequenti inconvenienti che può determinare, mentre la pratica del cateterismo intermittente è sempre più diffusa, sia perché previene
Il cateterismo a permanenza espone il paziente a numerosissime complicanze; per cui, a nostro avviso, deve essere riservato solo a casi estremamente gravi (lesioni da decubito, scarsa collaborazione del paziente o del caregiver al cateterismo intermittente) dove non vi sia la possibilità di intervenire in altro modo e solo dopo avere tentato tutte le altre soluzioni. Vengono usati i cateteri tipo Foley a palloncino, a due o tre vie: ne esistono di vari materiali (lattice e teflon, in elastomero di silicone, in silicone puro, in lattice e teflon rivestiti di hydrogel) che consentono al catetere di poter rimanere all’interno
Che cos'è il cateterismo intermittente e quali sono i suoi vantaggi?
Il cateterismo intermittente è una pratica che consente al paziente di svuotare la vescica regolarmente più volte al giorno.
Rappresenta una metodica di trattamento delle disfunzioni vescico-sfinteriche estremamente utile non solo nei difetti di svuotamento (ritenzione urinaria), ma anche nei difetti di riempimento (incontinenza) da iperattività detrusoriale: consente infatti un completo svuotamento vescicale in corso di terapia farmacologica con anticolinergici o quando non si raggiunga un bilanciamento vescicale ottimale (quando cioè permanga un residuo post-minzionale elevato).
Costituisce la modalità di svuotamento vescicale elettiva dopo trattamento chirurgico di denervazione detrusoriale o di cistoplastica di ampliamento; consente infine di monitorare l
Con il termine “idrofilo” o “autolubrificante” si identifica un particolare catetere rivestito di una sostanza che, al contatto con l’acqua, ne assorbe le molecole, divenendo lubrificato e più o meno scivoloso rispetto alla mucosa uretrale.
Per iso-, ipo- o ipertonicità si intende la maggiore o minore capacità che un catetere idrofilo possiede non solo di assorbire l’acqua, ma anche di trattenerla durante tutte le fasi del cateterismo: questa proprietà condiziona fortemente l’efficacia del dispositivo, perché riduce al minimo le lesioni a carico della mucosa dell’uretra.
È stato ampiamente dimostrato come questa caratteristica consenta un uso dei cateteri ripetuto e prolungato negli anni.
Durante il cateterismo è pertanto l’acqua e non l’effettiva superficie del catetere che viene a contatto con la mucosa uretrale: questo spiega come siano praticamente ridotti a zero l’attrito e i traumi conseguenti, in relazione al grado di isotonicità rispetto all’urina presentato dal catetere.
L'autocateterismo è la metodica che consente al paziente di effettuare autonomamente lo svuotamento vescicale con il catetere monouso. È una tecnica estremamente semplice che, una volta appresa, permette un controllo completo e autonomo delle funzioni vescico-sfinteriche, riduce le infezioni delle vie urinarie, previene le fughe di urina e migliora la qualità di vita del paziente.
In genere non vi sono difficoltà ad effettuare l'autocateterismo: problemi possono insorgere se vi sono deficit motori agli arti superiori (come nel caso del tetraplegico) o in caso di scarsa collaborazione da parte del paziente.
Quella dell'autocateterismo è oggi una pratica estremamente diffusa in tutto il mondo e a tutte le età: l'esperienza insegna che, già all'età di 2-3 anni, molti bambini, opportunamente addestrati, trovano divertente rimuovere il catetere da soli.
All'età di 5-6 anni, il bambino può già cominciare, in modo graduale, a cateterizzarsi da solo.
Che cosa si intende per cateterismo sterile e per cateterismo pulito?
Il cateterismo (o l’autocateterismo) sterile è quello che viene effettuato generalmente in ambiente ospedaliero. Deve essere eseguita una accurata disinfezione dei genitali, devono essere utilizzati guanti sterili (da parte dell’operatore o del paziente in caso di autocateterismo), gel lubrificante sterile ed i genitali del paziente devono venire coperti da un telino sterile fenestrato. Se si usa un catetere idrofilo autolubrificante, deve essere utilizzata soluzione fisiologica o acqua sterile e non vi è la necessità del gel lubrificante.
L’autocateterismo (o il cateterismo) pulito consente il trattamento a lungo termine delle disfunzioni dell’apparato vescico-sfinterico e costituisce un ottimo strumento
Quali sono le fasi essenziali per procedere a un corretto autocateterismo?
Dopo aver preparato adeguatamente il catetere e lavato accuratamente mani e genitali, si procede in questo modo:
Seduti sulla tazza, ricercare la posizione più comoda per le operazioni successive.
Per chi esegue la manovra disteso, la posizione ideale viene appresa durante l’addestramento (solitamente è quella semiseduta con gambe piegate e aperte).
Alle donne risulta di solito necessario l’utilizzo di uno specchio e, se necessario, di una lampada.
Introdurre lentamente il catetere fino a quando non si vede defluire l’urina: ciò significa che il catetere è giunto in vescica.
Nel caso il catetere si “blocchi” e non entri in vescica
Il residuo (o ristagno) post-minzionale è la quantità di urina che rimane all’interno della vescica dopo l’eventuale minzione (spontanea, riflessa o mediante torchio addominale).
È un parametro molto importante e facilmente rilevabile che ci permette di valutare:
la capacità vescicale totale (sommando il valore dell’urina emessa al valore del residuo post-minzionale);
l’efficacia del trattamento riabilitativo vescico-sfinterico (la vescica si definisce bilanciata quando il residuo post-minzionale è inferiore al 10% della capacità vescicale totale nelle vesciche da LMNI e inferiore al 20% della capacità vescicale totale nelle vesciche da LMNS);
l’eventuale difficoltà all’emissione di urina (in presenza di dissinergia detrusore-sfintere striato).
La valutazione del residuo post-minzionale deve avvenire immediatamente dopo la minzione: solitamente viene effettuata mediante un cateterismo estemporaneo (con lo stesso tipo di catetere monouso utilizzato per il cateterismo intermittente), anche se attualmente sono disponibili piccoli apparecchi ecografici per la quantificazione non invasiva del residuo post-minzionale, di costo limitato, che consentono all’operatore di valutare la necessità o meno di procedere allo svuotamento vescicale senza ricorrere inevitabilmente alla cateterizzazione (si tratta di solito di una metodica disponibile in ambiente ospedaliero o riabilitativo specializzato).
Nelle lesioni midollari al di sopra di S2, di solito si ha una vescica cosiddetta “iperattiva” o da “lesione del motoneurone superiore” (LMNS): il detrusore si contrae a un riempimento solitamente inferiore alla norma, indipendentemente da qualsiasi controllo volontario, sviluppando frequentemente elevate pressioni all’interno della vescica. La contrazione del detrusore può avvenire spontaneamente o a seguito di “stimoli”, a volte anche estremamente banali, quali passaggi posturali, colpi di tosse, cateterismo uretrale e igiene perineale, con conseguente incontinenza urinaria. L’attivazione del detrusore e il relativo svuotamento vescicale possono anche essere evocati a scopo riabilitativo, nel tentativo di ottenere la
Nelle lesioni del cono midollare (S2-S4), la vescica viene definita “acontrattile” o da “lesione del motoneurone inferiore” (LMNI): sia il detrusore che gli sfinteri perdono le connessioni con il midollo spinale e rimangono definitivamente paralizzati. Lo svuotamento vescicale può essere effettuato mediante l’attivazione del torchio addominale (in altri termini, “spingendo con la pancia” per aumentare la pressione addominale) o la compressione manuale dell’addome, anche se queste manovre possono essere causa di pericolosi aumenti della pressione all’interno della vescica; mentre sono estremamente frequenti gli episodi di incontinenza urinaria da insufficienza sfinterica: basta infatti un colpo di tosse, uno starnuto o una flessione in avanti del tronco per determinare una fuga di urina.
In entrambi i casi, se la lesione midollare è completa, il paziente non percepisce la sensazione di vescica piena e il bisogno di urinare: a volte sono presenti “segnali” alternativi (sudorazione, palpitazioni, tensione e peso addominale) che il paziente impara ben presto a riconoscere e che lo informano della necessità di svuotare la vescica.
Nella vescica “iperattiva” o da “lesione del motoneurone superiore” (LMNS), in assenza di dissinergia detrusore-sfintere striato e con pressioni detrusoriali “di sicurezza” documentate dall’esame urodinamico, si ricerca la contrazione detrusoriale riflessa mediante la percussione o stimolazione sovrapubica. Questa manovra deve essere effettuata a intervalli regolari (di solito ogni 3-4 ore) e si deve registrare ogni volta la quantità di urina emessa. Per valutare l’efficacia della minzione riflessa, in particolare nelle prime fasi dell’iter riabilitativo vescicale, è indispensabile far seguire alla stimolazione sovrapubica, almeno 4 volte al giorno (ogni 6 ore), la misurazione del residuo post-minzionale
In caso di vescica “acontrattile” o da “lesione del motoneurone inferiore” (LMNI), anche se la minzione potrebbe essere ottenuta mediante l’attivazione del torchio addominale (“spingendo” con la pancia), è indicato effettuare lo svuotamento vescicale mediante la pratica del cateterismo intermittente.
Nella vescica da LMNI, il detrusore non riprende alcun tipo di attività riflessa (in quanto deconnesso dai centri midollari) e pertanto all’interno del serbatoio vescicale la pressione rimarrà costantemente bassa. In particolare, nell’uomo possono essere presenti resistenze uretrali al passaggio dell’urina (prostata), per cui spesso non è ottenibile il completo svuotamento della vescica.
Inoltre, l’attivazione del torchio addominale (e il conseguente aumento della pressione all’interno della vescica) può determinare nel tempo danni alla parete vescicale.
Per questi motivi, anche in caso di vescica acontrattile (solitamente non soggetta alle complicanze che si osservano nella vescica iperattiva), è consigliabile effettuare il cateterismo intermittente (anche in questo caso pulito, ogni 4 ore o con scadenze tali da non superare volumi vescicali di 400 cc).
Quali sono le possibili cause e i sintomi delle infezioni urinarie?
Le infezioni urinarie rappresentano una delle complicanze più frequenti nei pazienti mielolesi e sono la conseguenza della crescita di batteri nell’urina all’interno della vescica.
Le cause possono essere molteplici:
residuo post-minzionale: l’urina residua è un mezzo ideale per lo sviluppo dei batteri e rappresenta la causa principale delle infezioni dell’apparato urinario;Ingresso di batteri in vescica durante procedure diagnostiche o manovre terapeutiche;
calcolosi renale, ureterale o vescicale;
orchiepididimite;
igiene perineale non accurata, in particolare nella donna;
stipsi o incompleto svuotamento dell’intestino.
Sembra inoltre che pressioni vescicali elevate possano provocare una ridotta capacità di “difesa” della
Alcune norme di carattere generale devono essere comunque osservate per prevenire l’insorgenza delle infezioni urinarie:
bere abbastanza, di solito almeno 1,5 litri al giorno (di ciò si parlerà anche più avanti nei capitoli dedicati all’intestino e alla dieta);
acidificare le urine (per esempio, assumendo vitamina C) o utilizzare altri integratori “alimentari” (cranberry, D-mannosio), sempre previo parere del medico;
svuotare completamente e regolarmente la vescica (se è il caso, mediante cateterismo intermittente);
effettuare un’accurata igiene della regione genitale e perineale;
lavarsi spesso le mani; lavare il cuscino della carrozzina e la sua fodera almeno una volta alla
Che cosa sono i calcoli urinari e come possono essere trattati?
I calcoli sono concrezioni che si formano nei liquidi dell’organismo all’interno di organi cavi (vescica, cistifellea), di dimensioni variabili, unici o multipli, di forma generalmente ovoidale, a superficie liscia e di durezza variabile. I calcoli urinari contengono generalmente, in proporzioni variabili, fosfati, ossalati, urati.
Il catetere a permanenza mantenuto a lungo e le infezioni urinarie, soprattutto quelle causate da alcuni batteri (detti ureasi-produttori), possono portare alla formazione di calcoli vescicali e uretero-renali.
Spesso sono del tutto asintomatici, in particolare a livello vescicale, e vengono scoperti occasionalmente. I calcoli renali e ureterali possono a volte bloccare il
Quali complicanze possono insorgere con la vescica neurogena?
Abbiamo già ricordato le infezioni urinarie, i calcoli e la disreflessia autonoma.
Abbiamo accennato al reflusso vescico-ureterale, che rappresenta la complicanza più temibile per il rischio di danni irreversibili alla funzionalità renale (insufficienza renale): ci preme sottolineare come spesso tale situazione sia del tutto asintomatica e, pertanto, come sia importante sottoporsi periodicamente agli accertamenti prescritti per evitare di arrivare “troppo tardi”.
Altre complicanze sono rappresentate dalle prostatiti (infezioni della prostata) e dalle orchiepididimiti (infezioni dei testicoli e delle prime vie spermatiche), determinate solitamente da traumi uretrali, traumi testicolari (da schiacciamento durante i passaggi posturali), infezioni delle vie urinarie e
Quali sono gli esami da eseguire per controllare la vescica neurogena?
Vi sono numerosi esami che devono essere effettuati per controllare l’apparato vescico-sfinterico in un paziente con lesione spinale.
Oltre alla già ricordata urinocoltura, altre indagini sono rappresentate da:
esami del sangue;
cistografia retrograda con studio della fase minzionale;
urografia;
radiografia diretta dell’addome;
uretrografia retrograda;
scintigrafia renale;
ecografia renale, addominale, vescicale;
TAC, uro-TAC e RMN;
uretroscopia e cistoscopia;
esami neurofisiologici.
Alcuni di questi esami vanno effettuati periodicamente per controllare la funzionalità renale e prevenire l’insorgenza di complicanze (esami del sangue, urinocoltura con antibiogramma, esame videourodinamico o esame urodinamico e cistografia retrograda con studio della fase minzionale, scintigrafia renale); altre indagini vanno riservate a situazioni particolari quali l’insufficienza renale, il reflusso vescico-ureterale e la calcolosi vescicale.
Quali aspetti valutano, nel dettaglio, le indagini strumentali, radiologiche e di laboratorio che si eseguono per studiare la vescica neurogena?
Gli esami citati consentono una serie circostanziata di valutazioni quali:
esami del sangue (test di funzionalità renale: creatininemia, azotemia, clearance della creatinina);
cistografia retrograda con studio della fase minzionale (valuta la morfologia della vescica e dell’uretra durante la fase di riempimento e di svuotamento, mediante il mezzo di contrasto introdotto con un catetere vescicale, e rivela l’eventuale presenza di reflussi vescico-ureterali);
urografia e uro-TAC (studiano la morfologia dell’intero apparato urinario, dai reni fino all’uretra, e forniscono indicazioni sulla capacità dei reni di assumere, filtrare ed eliminare il mezzo di contrasto introdotto per via generale
L’esame urodinamico consente di studiare la funzione (e, di conseguenza, la disfunzione) delle basse vie urinarie (vescica, uretra, sfinteri): rappresenta l’esame di elezione per la valutazione dei disturbi vescico-sfinterici della persona con lesione spinale. Fornisce una serie di parametri (pressione, flusso, attività elettromiografica sfinteriale) indispensabili alla programmazione dell’intervento terapeutico-riabilitativo e ne permette il monitoraggio nel tempo.
Anche se viene comunemente definito “esame (o studio) urodinamico”, è in realtà l’analisi di un insieme di valori che vengono raccolti attraverso la cistomanometria, il profilo pressorio uretrale, l’elettromiografia dello sfintere striato e l’uroflussometria.
La cistomanometria è la misurazione contemporanea della pressione vescicale e della pressione addominale. Consente di valutare indirettamente l’attività del detrusore durante la fase di riempimento e di svuotamento della vescica. Viene effettuata mediante un catetere vescicale (ed un catetere rettale), collegato a un rilevatore di pressione: il riempimento della vescica con soluzione fisiologica avviene attraverso lo stesso catetere e una pompa di infusione.
Il profilo pressorio uretrale misura le pressioni lungo tutta la lunghezza dell’uretra, a livello dello sfintere liscio, dello sfintere striato e, nell’uomo, dell’uretra prostatica: viene eseguito estraendo il catetere, utilizzato per la cistomanometria, a
Esistono trattamenti chirurgici in grado di migliorare la continenza e lo svuotamento vescicale?
Gli interventi chirurgici possono essere effettuati per migliorare la funzionalità dell’apparato vescico-sfinterico e per prevenire o curare le complicanze.
Nel primo caso, si tratta di interventi destinati a favorire la continenza o lo svuotamento.
Per ridurre le resistenze uretrali, si può ricorrere alla resezione endoscopica dello sfintere striato (sfinterotomia) e del collo vescicale (con elevato rischio di incontinenza totale, impotenza e stenosi uretrale); per migliorare la continenza, può essere impiantato uno sfintere artificiale (nelle vesciche da LMNI) o iniettate nella parete dell’uretra sostanze che ne aumentano lo spessore (bulking uretrale), riducendone nel contempo il lume.
A nostro
Quali regole generali si possono seguire per gestire al meglio la vescica?
Per gestire al meglio la propria vescica, il paziente con lesione spinale deve osservare queste regole di base:
bere almeno 1,5-2 litri di liquidi al giorno per assicurare un adeguato e costante "lavaggio" di reni e vescica (può essere utile aumentare la quota idrica giornaliera e diminuire quella notturna per evitare un'eccessiva diuresi durante le ore di sonno);
evitare bevande alcoliche, limitare l'uso di spezie e tabacco;
non trascurare eventuali sintomi quali cefalea pulsante, sudorazione, dolori renali, lombari e addominali, febbre, perché possono indicare la presenza di infezioni dell'apparato urinario, calcoli, reflusso vescico-ureterale;
controllare accuratamente le caratteristiche dell'urina (quantità, colore e trasparenza) e segnalarne al medico le eventuali modificazioni;
effettuare periodicamente i controlli suggeriti dallo specialista;
rispettare scrupolosamente lo schema di riabilitazione vescicale prescritto (minzione riflessa, cateterismo intermittente, terapia farmacologica, controllo del residuo post-minzionale).
L’intestino costituisce la porzione dell’apparato digerente deputata alla digestione (frammentazione) e assorbimento del cibo, nonché all’emissione delle feci (defecazione). Viene diviso in intestino tenue o piccolo intestino (duodeno, digiuno, ileo) e intestino crasso o grosso intestino (colon ascendente, trasverso e discendente, sigma, retto), e sbocca all’esterno mediante il canale anale (che termina con due muscoli circolari: lo sfintere interno e lo sfintere esterno). Rappresenta la continuazione del primo tratto dell’apparato gastroenterico (bocca, lingua, faringe, esofago, stomaco), preposto al trasporto e al mescolamento del cibo.
Il cibo, una volta masticato e deglutito, passa nello stomaco, dove avviene il primo contatto con gli enzimi gastrici (sostanze che "spezzano" in minuscole particelle gli alimenti ingeriti); dallo stomaco prosegue poi nel duodeno (il primo tratto dell’intestino tenue), venendo ulteriormente metabolizzato dagli enzimi del pancreas e del fegato. Da qui in poi inizia il processo di "assorbimento" vero e proprio, che si realizza in gran parte nell’intestino tenue, mediante il quale i vari componenti del cibo (zuccheri, proteine, grassi, minerali) passano nel sangue e vengono utilizzati per le esigenze energetiche dell’organismo.
Qual è il ruolo della peristalsi nel quadro dei processi digestivi?
Il progredire del bolo alimentare lungo l’intestino avviene per movimenti ritmici e coordinati del canale alimentare (peristalsi), che spingono il materiale alimentare in avanti, fino al tratto terminale dell’intestino stesso (retto), da dove viene eliminato mediante la defecazione.
La peristalsi intestinale è regolata dalla motricità propria della muscolatura dell’intestino e da una “rete” di nervi che si trova nello spessore della parete intestinale (plesso mioenterico), nonché da fibre del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico. L’attività della muscolatura intestinale è del tutto autonoma, cioè non controllabile volontariamente, e non scompare nemmeno in caso di danno (denervazione) delle vie motorie simpatiche e parasimpatiche provenienti dal midollo spinale: infatti, il sistema nervoso autonomo si limita a “controllare” l’attività spontanea della muscolatura intestinale, che, seppur ridotta, è presente anche dopo lesione midollare o denervazione.
Più complesso è il meccanismo della defecazione, nel quale entra in gioco il controllo volontario da parte dei centri corticali, con possibilità di rinviare l’emissione delle feci fino a quando non vi siano condizioni sociali e ambientali adeguate.
Nelle lesioni spinali, solitamente vengono compromessi i meccanismi che presiedono alla defecazione, alla possibilità di rinviarla e alla motilità dell’intestino.
Che cos'è la defecazione e quali sono le strutture anatomiche coinvolte?
La defecazione (o evacuazione) è il meccanismo che permette il passaggio delle feci dall'intestino all'esterno.
Le strutture anatomiche coinvolte nella defecazione sono:
l'ampolla rettale (porzione terminale dell'intestino retto che funge da "serbatoio" del materiale fecale);
il canale anale (attraverso il quale avviene il passaggio delle feci all'esterno);
gli sfinteri: lo sfintere liscio o sfintere anale interno (SAI), innervato dal sistema nervoso simpatico con fibre che originano a livello T12-L2 e dal sistema nervoso parasimpatico con fibre che originano da S2-S4, quindi dotato di attività autonoma; e lo sfintere striato o sfintere anale esterno (SAE), innervato da fibre di motoneuroni situati a livello S2-S4 e sotto controllo volontario.
Quale ruolo svolgono lo sfintere anale interno e lo sfintere anale esterno nel meccanismo della defecazione?
Le feci, una volta giunte a livello dell’ampolla rettale, ne producono la distensione delle pareti (normalmente percepita dal soggetto sano) con conseguente aumento della pressione intrarettale. Contemporaneamente si determina un rilascio riflesso dello SAI (riflesso inibitorio retto-anale, RIRA) e una fugace contrazione riflessa dello SAE (riflesso eccitatorio retto-anale, RERA).
Se si decide di rinviare l’evacuazione, si attiva volontariamente lo sfintere anale esterno (in altri termini si “stringe”): si “chiude” in questo modo il canale anale e si riportano le pressioni nell’ampolla rettale ai valori iniziali. Se al contrario si decide di procedere alla defecazione, si “spinge” con la muscolatura addominale e si rilascia lo SAE, consentendo il passaggio automatico delle feci all’esterno.
Come si modifica l'attività intestinale dopo una lesione spinale?
Immediatamente dopo una lesione spinale (shock spinale) si determina un blocco della peristalsi intestinale (ileo paralitico) e della defecazione: questo provoca accumulo di liquidi e gas all’interno delle anse intestinali, distensione addominale (meteorismo), vomito e difficoltà respiratorie da innalzamento diaframmatico.
In questa fase, che dura circa 5-10 giorni, bisogna provvedere a idratare adeguatamente il paziente e a ridurre la distensione addominale e il vomito, posizionando una sonda rettale e un sondino naso-gastrico.
Una volta terminata la fase di shock spinale, si osserva il ripristino di una, seppur rallentata, attività peristaltica intestinale (che, come abbiamo ricordato, è solo parzialmente controllata dai centri midollari), mentre la ripresa della defecazione avviene secondo modalità diverse in rapporto al livello di lesione.
Come si modificano i meccanismi della defecazione in rapporto ai differenti livelli della lesione?
Nelle lesioni con integrità dei metameri sacrali S2-S4 (lesione del motoneurone superiore: LMNS) si osserva la conservazione del riflesso inibitorio retto-anale e del riflesso eccitatorio retto-anale, ipertono con assenza di controllo volontario dello sfintere anale esterno, assenza di sensibilità rettale e conservazione dell’attività riflessa della muscolatura del piano perineale.
Nelle lesioni sacrali o della cauda equina (lesione del motoneurone inferiore: LMNI) il RIRA è presente ma ridotto, il RERA è abolito, come pure l’attività volontaria e il tono dello SAE. Tuttavia, l’attività dello SAI è ridotta ma conservata; vi è assenza di sensibilità rettale e paralisi flaccida della
Quali interventi risultano utili per controllare l'incontinenza fecale e la stipsi?
L'incontinenza fecale si definisce come l'emissione involontaria di feci in luoghi e momenti inappropriati e socialmente inopportuni. La stipsi, al contrario, è rappresentata dall'incapacità o dalla difficoltà a espellere le feci.
Un adeguato programma di regolarizzazione intestinale e di controllo delle evacuazioni rappresenta un aspetto fondamentale nel percorso riabilitativo del paziente con lesione spinale, per consentirne un completo reinserimento familiare, sociale e lavorativo e migliorarne la qualità di vita.
Gli obiettivi da perseguire sono:
raggiungere un equilibrio ottimale tra stipsi e incontinenza;
ristabilire un ritmo regolare nelle evacuazioni;
prevenire le possibili complicanze;
adattare il programma alle esigenze della
Quali manovre o altri accorgimenti possono facilitare l'evacuazione?
Le metodiche utilizzate per facilitare la defecazione (manovre evacuative) variano in relazione al livello di lesione e alle condizioni cliniche del paziente. Nelle lesioni midollari neurologiche superiori (LMNS) le manovre che si eseguono hanno lo scopo di rilassare lo sfintere anale esterno (sfintere striato) e stimolare la peristalsi intestinale. Si procede con:
il massaggio intestinale manuale, mediante un movimento lento e circolare, nel senso di svuotamento del colon (orario), per tempi prolungati;
le stimolazioni digitali, effettuate a livello dello sfintere anale esterno (mediante dito guantato e lubrificato, per determinare il rilassamento dello sfintere striato) e a livello dell’ampolla rettale
In un programma di rieducazione intestinale, quali alimenti vanno consigliati e quali evitati?
Un adeguato programma di rieducazione intestinale comprende un corretto regime dietetico che deve prevedere cibi ricchi di fibre (pane, pasta, cereali integrali, frutta cruda consumata con la buccia, tra la frutta cotta le prugne, tutta la verdura cruda, quasi tutte le verdure cotte, tranne le patate che sono astringenti e le carote che lo sono da cotte, legumi in genere), sostanze emollienti (olio d'oliva) e l’introduzione di una quantità sufficiente di liquidi.
L’assunzione di cibi ricchi di fibre deve essere favorita anche in virtù della loro capacità di trattenere acqua: poiché il transito intestinale, la produzione e
Sono disponibili farmaci che favoriscono lo svuotamento intestinale?
Esistono molte sostanze (lassativi o purganti) in grado di favorire la peristalsi intestinale e facilitare l’evacuazione; vanno utilizzate con cautela per evitare il rischio di dipendenza e l’insorgenza di coliti irritative.
Devono essere evitati, se possibile, i purganti cosiddetti “irritanti” (il cui meccanismo di azione consiste in una semplice stimolazione della motilità intestinale), come l’olio di ricino, la cascara, la senna, l’aloe, il bisacodile (utile sotto forma di supposta) e il picosolfato.
Meno dannosi risultano i lassativi che aumentano il volume delle feci (ricordiamo che la distensione delle pareti intestinali è un potente stimolo della peristalsi), quali
Esistono ausili validi per controllare l’incontinenza fecale?
Per il trattamento dell’incontinenza fecale, segnaliamo due ausili disponibili sul mercato.
Il primo è un sistema assorbente in schiuma di poliuretano, che viene posizionato a livello dell’ampolla rettale: consente il passaggio dell’aria e può rimanere in loco fino a 12 ore. È un piccolo “tappo”, costituito da un materiale morbido e poroso che, all’interno dell’ampolla rettale, si espande assumendo la forma di un imbuto. Per ridurre al minimo le sue dimensioni e consentirne l’introduzione facile e indolore, viene compresso e ricoperto da una pellicola trasparente e idrosolubile: l’umidità dell’ambiente rettale dissolve la pellicola e
È possibile che si verifichino, comunque, episodi di incontinenza alle feci e ai gas?
Purtroppo, l’incontinenza ai gas e alle feci è un evento frequente. Nonostante una corretta riabilitazione intestinale, basta un aumento della pressione addominale, l’assunzione anche occasionale di cibi o bevande irritanti, “prendere freddo”, o un ritardo, anche di poco, dell’evacuazione programmata per determinare la fuga di gas o di feci.
Questo espone il paziente a un notevole disagio non solo fisico, ma anche sociale.
Solo la corretta esecuzione delle metodiche riabilitative prescritte e la stretta osservanza di alcune norme comportamentali possono ridurre al minimo tale rischio e consentire al paziente con lesione spinale di affrontare con sufficiente sicurezza quelle
Quali norme comportamentali vanno adottate per tentare di “rieducare” l’intestino?
La riabilitazione intestinale non sarebbe efficace se non tenesse conto delle condizioni di vita del paziente, dell’ambiente in cui vive e delle sue necessità sociali, familiari e lavorative.
Per questi motivi, è necessario rieducare la persona a un regolare ritmo nelle defecazioni, di solito a giorni alterni e in momenti ben prestabiliti (l’orario dovrebbe essere sempre più o meno lo stesso e lo svuotamento andrebbe effettuato circa 30 minuti dopo i pasti, così da farlo coincidere con il fisiologico aumento dei movimenti peristaltici intestinali: il cosiddetto “riflesso gastrocolico”), in modo da consentirle di svolgere liberamente le proprie attività senza il timore di “incidenti” estremamente spiacevoli per sé e per quanti le stanno vicino. È indispensabile, inoltre, addestrarlo all’utilizzazione del bagno ed a prevedere le eventuali modificazioni dell’ambiente domestico e/o lavorativo. Se il paziente necessita di assistenza, occorre coinvolgere nel programma rieducativo i familiari o il caregiver. Infine, vanno illustrati con chiarezza i segni e i sintomi delle più frequenti patologie intestinali (sanguinamento rettale, disreflessia autonoma, stipsi) da comunicare tempestivamente al proprio medico di fiducia.
Con quale atteggiamento si può affrontare la relazione con il partner?
La dimensione affettiva è parte integrante del funzionamento dell’essere vivente, che può vivere solo in relazione ad altri esseri viventi. Vivere con gli altri permette alla persona di confrontarsi, di misurarsi nelle autonomie, di sperimentare possibilità di superamento delle difficoltà, con conseguente rinforzo del sentimento di autostima.
Nel normale percorso di vita, la persona si trova ad affrontare momenti di “insicurezza” rispetto alla propria possibilità di vivere esperienze affettive soddisfacenti. Nelle fasi successive a un evento traumatico, come può essere una lesione midollare, la persona può avere dubbi relativamente al suo ruolo nella relazione con il partner. A maggior ragione, la persona che si confronta con nuove relazioni può essere inibita rispetto al mettersi in gioco.
È fondamentale continuare a percepirsi come “persona unica e insostituibile” nonostante la “presenza” della carrozzina. Da qualche anno, la diffusione della cultura della differenza come risorsa ha attivato possibilità maggiori di accesso a luoghi di aggregazione anche per persone con disabilità motoria. Mantenere rapporti umani fuori dall’ambiente familiare motiva alla cura di sé, del proprio corpo e dei propri interessi.
Quale ruolo gioca nella ripresa dell’attività sessuale il possibile disagio psicologico legato al nuovo stato?
Nell’essere umano, la sessualità comprende aspetti fisici, funzionali, psichici e culturali; il sesso è determinato al momento del concepimento, mentre la sessualità si apprende, in un processo che porta l’individuo a essere non solo “corpo”, ma “persona”, a viversi l’identità di genere (gender identity) e i ruoli sessuali (gender role).
La sessualità si esprime nell’incontro con l’Altro, quindi l’evoluzione della sessualità procede insieme all’evoluzione dei processi relazionali, dai primi tempi di vita alla maturità psicoaffettiva, che permette alla persona di mettersi in gioco in un rapporto caratterizzato da intese, intimità, complicità, tenerezza, gioco e fantasia.
Nella persona con lesione midollare, il possibile deficit delle funzioni sessuali genera un contesto di disagio psicologico che richiede una gestione a volte complessa. Nervosismo, stress e orgoglio possono creare difficoltà nella comunicazione, rendendo deludenti i tentativi di approccio sessuale. È estremamente importante che il paziente venga messo al corrente della propria situazione al momento opportuno, tenendo ben presente, per l’uomo, che la ricomparsa dell’erezione può essere più tardiva rispetto alla riacquisizione dell’autonomia vescico-sfinterica e intestinale (soprattutto nei paraplegici con lesione bassa).
Da quali organi è composto l'apparato genitale maschile?
L’apparato genitale dell’uomo è composto dal pene, dai testicoli e da una serie di organi complementari che sono deputati alla raccolta e al trasporto del liquido seminale e degli spermatozoi.
Il pene è in gran parte costituito da due organi cilindrici, affiancati tra di loro parallelamente e rivestiti dalla cute, formati da tessuto vascolare erettile, denominati “corpi cavernosi”. I corpi cavernosi hanno una particolare struttura, che per semplicità potremmo paragonare a una spugna, in grado di riempirsi di sangue e di trattenerlo al proprio interno, aumentando notevolmente di volume e di consistenza.
L’erezione, quindi, non è altro che un rapido
Quali sono le funzioni svolte dagli organi dell'apparato genitale maschile?
Le due funzioni più importanti sono rappresentate dall’erezione del pene e dall'eiaculazione.
L’erezione inizia con la fase dell’eccitamento, solitamente determinata da stimoli di varia natura (visivi, cutanei genitali e non, uditivi, olfattivi, emozionali), che, elaborati a livello encefalico, provocano l’erezione attraverso l’attivazione del centro simpatico toraco-lombare (che è controllato direttamente dai centri corticali). A questa fase fa seguito la cosiddetta “fase di plateau”, durante la quale il pene si mantiene allo stato massimale di erezione attraverso gli stimoli propriocettivi ed esterocettivi provenienti dal glande, legati a diverse pratiche erotiche (attrito del pene durante il
Quali sono le strutture del sistema nervoso somatico e autonomo coinvolte nella regolazione dell’erezione e dell’eiaculazione?
L’afflusso di sangue attraverso le arterie peniene è controllato dal sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico) ed è modulato da stimoli provenienti dai centri corticali superiori (encefalo).
I corpi cavernosi del pene ricevono fibre dal parasimpatico sacrale (S2-S4) attraverso i nervi pelvici e dal simpatico toraco-lombare (T12-L2) attraverso i nervi ipogastrici: l’attivazione dei due sistemi determina l’erezione. Le afferenze sensitive provenienti dalla cute del pene (in particolare dalla sua parte distale: glande) sono veicolate dai nervi pudendi (radici posteriori di S2-S4).
L’eiaculazione, fenomeno riflesso regolato dal sistema nervoso simpatico toraco-lombare e dai centri
Da quali organi è composto l'apparato genitale femminile e quali sono le sue funzioni?
L’apparato genitale femminile è costituito dalle ovaie (all’interno delle quali si trovano gli ovuli, le cellule femminili della riproduzione), dalle tube uterine, dall’utero, dalla vagina e dalla vulva (o genitali esterni).
La funzione riproduttiva (formazione del materiale riproduttivo o ovogenesi, fecondazione, gravidanza e parto) nella donna inizia con la comparsa delle mestruazioni e termina generalmente verso i 45-50 anni (menopausa).
Durante questo periodo, ogni 28 giorni circa, avviene l’espulsione di un ovulo dalle ovaie: l’ovulo migra nell’utero attraverso le tube uterine, dove può avvenire la fecondazione.
La fecondazione consiste nella penetrazione dello spermatozoo nell’ovulo; di solito tale processo si realizza durante la permanenza dell’ovulo nella tuba. L’uovo fecondato giunge poi nella cavità uterina e si fissa nella mucosa dell’utero: dall’uovo fecondato, in seguito a successive segmentazioni, ha origine un numero sempre più grande di cellule che formano dapprima l’embrione, quindi il feto e in parte anche gli annessi fetali. Normalmente, dopo nove mesi (gravidanza), si verifica il parto, cioè l’espulsione del feto dall’organismo materno in seguito a ripetute contrazioni della muscolatura liscia della parete uterina.
Quali conseguenze ha una mielolesione sulle funzioni dell’apparato genitale maschile e di quello femminile?
È necessario, innanzi tutto, considerare che le conseguenze della lesione midollare sono determinate dal livello e dalle caratteristiche della lesione stessa (completa o incompleta); è comunque accertato che, dopo un danno mielico, le funzioni sessuali risultano maggiormente compromesse nell’uomo piuttosto che nella donna.
Nell’uomo, infatti, si può verificare un completo sconvolgimento delle attività dell’apparato genitale: sia la funzione erettiva che quella eiaculatoria sono sempre deficitarie (a volte addirittura assenti), con notevoli compromissioni della “potenza sessuale” (possibilità di avere normali rapporti sessuali: coito) e della fertilità (possibilità di procreare).
Inoltre, viene quasi sempre alterata (o abolita) la sensibilità orgasmica.
È opportuno comunque ribadire che esistono importanti variabilità individuali legate al livello e alla completezza della lesione, nonché alcune possibilità terapeutiche che verranno dettagliatamente illustrate in seguito. Nella donna con lesione midollare, invece, la funzione riproduttiva non viene solitamente compromessa, come pure la possibilità di avere rapporti sessuali. Analogamente a quanto accade per il maschio, viene sempre alterata, se non abolita, la sensibilità, con conseguente alterazione dell’eccitazione e dell’orgasmo.
È possibile avere rapporti sessuali dopo una lesione midollare?
È una delle domande che il medico si sente rivolgere più frequentemente e se ne può comprendere facilmente la ragione, anche solo considerando il fatto che la sessualità riveste un ruolo fondamentale per tutti noi. Di non secondaria importanza, inoltre, è la giovane età dei pazienti con lesione spinale (dai 18 ai 34 anni di media).
In ogni caso, la risposta di fondo a questa domanda è che, pur in presenza di una lesione spinale, si possono trarre dall’esperienza sessuale notevoli gratificazioni, anche grazie alle nuove terapie, all’apprendimento e alla comunicazione.
Il rapporto sessuale mira al raggiungimento comune del piacere fisico; nonostante per alcuni sia limitato al “coito”, è importante essere consapevoli che esistono pratiche sessuali alternative altrettanto soddisfacenti e che il “piacere” non necessariamente diminuisce.
In quale misura una lesione midollare può compromettere l'orgasmo?
Nelle lesioni complete, la sensazione orgasmica è presente nel 20% circa dei casi; si tratta comunque di una sensazione atipica e si accompagna frequentemente a segni di disreflessia autonomica.
Nei restanti casi, l’orgasmo è assente e rappresenta un aspetto complesso da gestire per la percezione di "menomazione," che influisce pesantemente sia sul sentimento di autostima sia nelle relazioni affettive.
In questi casi, è molto importante assistere la persona a crescere nella propria capacità di vivere la sessualità in modo creativo e confortevole, cercando di vicariare, con altre esperienze, l'assenza di sensibilità genitale. È necessario, quindi, sperimentare nuove possibilità di piacere sessuale, soluzioni
La lesione midollare compromette notevolmente la funzionalità erettiva e la capacità eiaculatoria.
Nei giorni immediatamente successivi a un danno mielico, durante la fase di shock spinale, non è possibile ottenere né l’erezione né l’eiaculazione. Una volta superata la fase di shock spinale, si osserva nel paziente la ricomparsa dell’attività riflessa midollare, con quadri clinici ovviamente diversi a seconda del livello di lesione.
La ripresa dell’attività erettiva può essere di natura “riflessa” o “psicogena”.
Nelle lesioni con integrità del centro parasimpatico sacrale (S2-S4), è possibile osservare la ripresa di erezioni cosiddette “riflesse”, ottenute mediante la stimolazione (durante il coito, la masturbazione o altro) del pene, in particolare del glande.
La validità e la durata delle erezioni riflesse possono anche essere le medesime che il paziente osservava prima dell’insorgenza della lesione mielica, ma molto più frequentemente si nota un andamento di tipo bifasico, costituito da una prima fase in cui l’erezione è completa, o quanto meno valida per dare inizio al coito, seguita, una volta avvenuta la penetrazione, da un calo di intensità tale da costringere il soggetto a interrompere l’atto sessuale.
Oltre alle erezioni “riflesse”, esistono anche le erezioni “psicogene”: di che cosa si tratta?
Le erezioni cosiddette psicogene si presentano più frequentemente nei pazienti con lesione del centro sacrale.
Sono erezioni ottenute a seguito di stimoli di varia natura (soprattutto visivi, ma anche uditivi ed emozionali, "eroticamente significativi"), ma con assenza di risposta alla stimolazione cutanea peniena.
Le erezioni, mediate dall’attivazione del centro simpatico toraco-lombare (controllato direttamente dai centri corticali), sono comunque di validità e durata molto inferiori rispetto alle erezioni riflesse e consentono solo raramente rapporti sessuali soddisfacenti. Nelle lesioni tra i due centri (toraco-lombare e sacrale) sono possibili sia erezioni riflesse che psicogene, mentre non si osserva alcuna attività erettiva quando entrambi i centri sono lesi.
In caso di lesione completa, inoltre, non si avrà, durante il coito, alcuna sensazione orgasmica.
Se la lesione non è completa, si possono osservare erezioni sia riflesse sia psicogene, come pure la persistenza di sensibilità coitale e orgasmo.
Nei pazienti con lesione al di sopra di T9 è possibile ottenere, in qualche caso, l’eiaculazione durante il coito o la masturbazione (eiaculazione riflessa), per l’integrità sia del centro toraco-lombare, che controlla l’emissione, sia del centro somatico sacrale, che regola l’eiaculazione propriamente detta. A volte, per la presenza di dissinergia tra lo sfintere liscio e lo sfintere striato dell’uretra, durante l’eiaculazione il liquido seminale può refluire in vescica: non si osserva pertanto alcuna espulsione di sperma all’esterno, pur essendo conservato il riflesso dell’emissione (eiaculazione retrograda).
Nelle lesioni che coinvolgono i metameri T9
Quali esami si possono effettuare per valutare la funzione erettiva e quella eiaculatoria?
Vi sono numerosi accertamenti, sia di carattere clinico che strumentale, che possono essere effettuati per valutare l’entità del deficit erettivo ed eiaculatorio:
anamnesi (caratteristiche dell’erezione e dell’eiaculazione, libido, abitudini sessuali, malattie associate, uso di droghe o farmaci);
esame obiettivo urologico e neurologico;
esami di laboratorio (ormonali, ematochimici generali);
eco-doppler delle arterie peniene (per valutare la funzionalità circolatoria, di base e dopo FIC);
esami neurourologici (riflessi evocati sacrali, potenziali evocati somato-sensoriali, stimolazione magnetica corticale, risposta simpatico-cutanea, velocità di conduzione motoria del nervo pudendo, velocità di conduzione sensitiva del nervo dorsale del pene, elettromiografia della muscolatura del piano perineale);
studio urodinamico;
tumescenza peniena notturna (per valutare la presenza di erezioni notturne);
arteriografia delle arterie peniene;
cavernosografia (per valutare la morfologia dei corpi cavernosi e le loro modificazioni durante l’erezione);
erezione artificiale o farmacoerezione (mediante FIC, a scopo diagnostico); - Visual sex stimulation (per valutare la risposta erettiva del paziente a stimoli di natura erotica);
test psicologici.
Esistono trattamenti per favorire la ripresa dell'erezione nella persona con mielolesione?
Allo stato attuale, esistono varie possibilità di trattamento dei deficit erettivi.
Le protesi peniene, attualmente poco utilizzate, sono costituite da sistemi impiantabili a livello dei corpi cavernosi che consentono, “irrigidendo” artificialmente il pene, la penetrazione.
La scarsa applicazione di questa metodica, oltre ai problemi di accettazione da parte del paziente e della propria partner, va anche addebitata all’elevata incidenza di complicanze legate alla presenza della protesi stessa nei tessuti penieni.
La vacuumterapia è un sistema meccanico che consente il richiamo del sangue nei corpi cavernosi mediante un cilindro (dove è posizionato il pene) all’interno del quale viene creato il vuoto, cioè una pressione negativa, con una pompa meccanica o elettrica. L’erezione, così ottenuta, viene poi mantenuta per il tempo necessario al coito applicando una fascetta elastica alla base del pene per impedire il deflusso del sangue.
Le terapie oggi più utilizzate per la cura delle disfunzioni erettive della persona con lesione spinale sono rappresentate dalla farmacoinfusione intracavernosa con farmaci vasoattivi e dalla farmacoterapia per os con i farmaci inibitori delle fosfodiesterasi.
In che cosa consiste, in particolare, la farmacoinfusione intracavernosa?
La farmacoinfusione intracavernosa (FIC) di farmaci vasoattivi rappresenta una delle metodiche terapeutiche più efficaci e diffuse per favorire la ripresa dell’attività erettiva nel paziente con lesione spinale.
È una tecnica che prevede di iniettare, direttamente nei corpi cavernosi del pene, un farmaco cosiddetto “vasoattivo”, cioè in grado di far affluire il sangue nei corpi cavernosi e determinare un'erezione del tutto simile a quella normale. L’iniezione viene effettuata mediante un ago da insulina, lateralmente o a livello del glande, dal paziente stesso (autoiniezione) o dalla partner (se il paziente è tetraplegico), qualche minuto prima del coito. Prima di procedere all
Quali sono i vantaggi della terapia orale con i farmaci inibitori delle fosfodiesterasi?
I farmaci inibitori delle fosfodiesterasi (sildenafil, vardenafil, tadalafil, avanafil) provocano un rilascio della muscolatura liscia dei corpi cavernosi del pene, favorendone l’erezione.
Tali molecole sono molto efficaci nel trattamento dei deficit erettivi della persona con lesione spinale (fino all’80% di successi) e l’assunzione per via orale ne facilita l’uso e l’accettazione da parte dei pazienti e delle loro partner. Di questi farmaci, il sildenafil, il vardenafil e l’avanafil vanno assunti da 15 a 40-60 minuti prima del rapporto sessuale e l’erezione può durare da 30 a 90 minuti; il tadalafil, invece, favorisce l’erezione nelle 24-36 ore successive all’assunzione, con una latenza di azione di circa 30 minuti.
L’efficacia di tali molecole è maggiore quando vi è la conservazione, anche parziale, di un’attività erettiva di tipo riflesso rispetto alla presenza di sole erezioni psicogene; nel qual caso risulta più affidabile la terapia con FIC.
Tra gli effetti collaterali vanno segnalati la cefalea, l’ipotensione, la dispepsia e la “visione blu”, ma spesso questi disturbi non sono tali da costringere i pazienti a interrompere il trattamento.
Esistono terapie per correggere i deficit dell'eiaculazione?
La terapia dei deficit dell’eiaculazione è rappresentata dal vibromassaggio penieno e dall’elettroeiaculazione.
Il trattamento più utilizzato è il vibromassaggio penieno, che viene realizzato con una stimolazione della superficie ventrale del pene, dalla radice alla regione del frenulo, mediante un apparecchio che produce vibrazioni meccaniche di frequenza da 80 a 100 Hz e ampiezza di 2,5 mm. Grazie alla particolare stimolazione della cute del pene, l’input raggiunge i centri midollari dell’emissione e dell’eiaculazione, evocando il riflesso eiaculatorio: è necessario, però, che il centro toraco-lombare sia integro, come pure le fibre ascendenti (tratto lombo-sacrale) dell'arco spinale
Quali accorgimenti di tipo pratico possono aiutare la ripresa dell’attività sessuale?
Prima di riprendere un’attività sessuale regolare, deve essere superata la fase di shock spinale e vanno risolti, per quanto possibile, i problemi di natura vescicale e intestinale.
Il paziente può aumentare l’intensità delle proprie sensazioni sessuali concentrandosi sulle informazioni verbali della partner circa la natura della stimolazione. Dopo la lesione spinale, acquistano maggiore importanza zone del corpo extragenitali, come labbra e capezzoli, nonché sollecitazioni erotiche di natura visiva.
È evidente che una lesione midollare incompleta comporterà una prognosi migliore sia per quanto riguarda l’erezione che l’eiaculazione; non bisogna comunque dimenticare che, dal punto di vista clinico, le
In che misura viene compromessa la fertilità del paziente con lesione spinale?
Una delle limitazioni maggiormente avvertite dalle persone con lesioni spinali è la compromissione della fertilità, che consegue principalmente alla disfunzione eiaculatoria, ma anche ad alterazioni qualitative del liquido seminale. La produzione di sperma continua anche dopo la lesione, ma vi può essere frequentemente una riduzione del numero degli spermatozoi nell’eiaculato o una loro modificazione funzionale (motilità). I processi infiammatori urogenitali (prostatiti, epididimiti, orchiti), la riduzione dell’apporto ematico scrotale, le alterazioni della termoregolazione, la denervazione delle strutture tubulari del testicolo e i deficit ormonali rappresentano le cause più frequenti di depressione (danno) della spermatogenesi (produzione degli spermatozoi) nel paziente con lesione midollare.
L’infertilità del maschio medulloleso, comunque, è determinata, nella stragrande maggioranza dei casi, dai deficit della funzione eiaculatoria: solo nel 5-10% delle mielolesioni complete (e nel 25-35% delle lesioni incomplete) è possibile osservare una eiaculazione spontanea anterograda.
Esistono comunque possibilità per il paziente con una lesione spinale di procreare?
La possibilità per la persona con lesione spinale di avere figli per via naturale è legata alla presenza di erezioni sufficientemente valide da consentire il coito e all'eiaculazione anterograda durante il coito stesso.
Tale situazione si realizza solo in una piccola percentuale di casi (dall'1 al 6% nelle lesioni complete e dal 6 al 10% nelle lesioni incomplete), per cui è necessario ricorrere molto spesso a metodiche di fecondazione assistita (inseminazione artificiale “in vivo” o “in vitro”).
La raccolta degli spermatozoi dal paziente può avvenire in vari modi. In presenza di eiaculazione anterograda non possibile durante il coito, il liquido
In che misura la lesione midollare può influenzare il rapporto sessuale nella donna?
Si è già detto che, a differenza dell’uomo (dove il danno coinvolge anche le funzioni erettive ed eiaculatorie), nella donna il problema essenziale dal punto di vista anatomico è quello dell'insensibilità che si realizza al di sotto del livello lesionale. Coesistono inoltre alterazioni della lubrificazione vulvo-vaginale e dell'erezione clitoridea: tutto ciò potrà influenzare negativamente il rapporto, ma può essere prevenuto/limitato dalla paziente stessa o “compensato” dal partner con manovre ed accorgimenti per così dire “integrati” nella dinamica del petting e dei preliminari.
Naturalmente il deficit sarà diverso in relazione al livello e alla completezza della lesione: in
Come si realizza la ripresa dell'attività sessuale nella donna mielolesa e quali possibilità ha di procreare?
Generalmente si assiste a un periodo di amenorrea (assenza di mestruazioni) e/o di ovulazione post-traumatica di durata variabile, in genere tra i 2 e i 6 mesi. Successivamente, la possibilità di avere figli, compatibilmente con le condizioni generali, ritorna a essere normale e, in quanto tale, può rendere indicata l’adozione di misure contraccettive (pillola, spirale) se la persona sceglie di evitare gravidanze indesiderate. Va però detto che la pillola può essere controindicata per un aumentato rischio di trombosi legato alla paralisi e che anche le complicanze di un IUD possono essere, da un lato, misconosciute per la
In caso di gravidanza, quali problemi possono sorgere e quali sono le misure da adottare?
Secondo le esperienze acquisite, non esiste il rischio che durante la gravidanza insorgano particolari complicanze, oltre a quelle relative alla condizione di una donna con una lesione midollare. Ciò significa che sarà ovviamente indispensabile controllare accuratamente vescica, reni e intestino, nonché sospendere quelle terapie farmacologiche che possono essere dannose per l’embrione o il feto. Occorre inoltre sempre tenere presente che in gravidanza aumenta il rischio di trombosi (già presente per la paralisi) e che un’eventuale minaccia di aborto possa passare inosservata o manifestarsi con sintomi di tipo disreflessico o “equivalente”.
Per quanto riguarda la donna con spina bifida
Cosa si intende per ipotensione ortostatica e per ipotensione posturale?
L’ipotensione è una riduzione della pressione sanguigna che si può osservare in seguito a una lesione midollare.
I centri simpatici preposti al controllo della pressione si trovano nel tratto toraco-lombare del midollo spinale: di qui partono i nervi che decorrono lungo i vasi sanguigni e, regolandone la costrizione o la dilatazione, mantengono la pressione sanguigna al giusto livello.
La lesione midollare determina un'insufficienza vascolare dovuta alla perdita del tono simpatico vasomotore (vasoparalisi).
Si possono verificare pertanto episodi di ipotensione dovuti all'insufficiente attività della muscolatura che si trova nella parete delle arterie (controllata dal sistema nervoso simpatico), aggravata
Per evitare l’insorgere dei sintomi descritti nella pagina precedente, è possibile ricorrere a una serie di accorgimenti:
bere uno o due bicchieri d’acqua al mattino prima di alzarsi.
rimanere seduti sul letto qualche minuto prima di trasferirsi sulla carrozzina.
indossare una panciera e le calze elastiche per facilitare il ritorno venoso dai visceri addominali e dalle gambe.
abbassare la testa sulle ginocchia per alcuni secondi.
se si è seduti in carrozzina, chiedere al caregiver di inclinarla all’indietro per qualche istante (assicurandosi di averla frenata) ed allo stesso tempo effettuare dei respiri profondi.
sempre nel caso ci si trovi seduti in carrozzina, chiedere di sollevare le gambe (ad angolo retto rispetto al tronco) per favorire il ritorno venoso.
Che cos'è l'edema e come si può prevenire o limitare?
Un edema si manifesta come gonfiore ai piedi e all’estremità inferiore delle gambe; è conseguenza di un insieme di fattori, spesso combinati tra loro, quali la vasoparalisi, la diminuzione della pressione sanguigna e la prolungata postura seduta in carrozzina.
Anche la riduzione dell’attività muscolare (paralisi) contribuisce all’insorgenza di edemi cutanei: come noto, uno degli elementi che favorisce il ritorno del sangue dalla periferia verso il cuore è il movimento. Un mancato intervento della cosiddetta “pompa muscolare” è causa di ristagno venoso e, quindi, di edema.
Quando è determinato dai fattori ora descritti, l’edema interessa solitamente ambedue gli arti inferiori; se
Che cos'è una trombosi venosa profonda e come si può prevenire e curare?
Le trombosi venose profonde (TVP) costituiscono una complicanza molto frequente sia nella fase acuta che in quella degli esiti delle lesioni midollari.
Sono determinate dalla “chiusura”, totale o parziale, di una vena (solitamente negli arti inferiori o nella pelvi) da parte di un “tappo” (coagulo), che si forma all’interno del vaso, ostacolando il flusso di sangue dalla periferia verso i grossi vasi dell’addome e il cuore (ritorno venoso).
I fattori predisponenti includono la paralisi muscolare, la perdita del tono vasomotorio, l’immobilità, la disidratazione, il fumo di sigaretta e l’assunzione di ormoni (pillola).
Clinicamente, il sospetto di
I polmoni, con la loro struttura interna costituita da bronchi, bronchioli ed alveoli, sono l’organo deputato alla funzione respiratoria e allo scambio di ossigeno-anidride carbonica, che avviene a livello dei capillari polmonari.
I polmoni sono contenuti nella gabbia toracica e comunicano con l’esterno attraverso i bronchi, la trachea, la laringe, la faringe, la bocca, il naso e le cavità nasali. La gabbia toracica è costituita, posteriormente, dalla porzione dorsale (o toracica) della colonna vertebrale, formata dalle 12 vertebre dorsali o toraciche; in avanti, dallo sterno e, su ciascun lato, dalle 12 coste che si articolano posteriormente con la colonna vertebrale e, in avanti, con lo sterno, mediante le cartilagini costali.
Quali funzioni svolge e da quali meccanismi è regolata la respirazione?
La respirazione consente all’ossigeno presente nell’aria di penetrare nel sangue attraverso i polmoni (più precisamente attraverso gli alveoli polmonari che del polmone costituiscono l’unità funzionale elementare) e all’anidride carbonica, prodotto di scarto del metabolismo dei tessuti, di passare dal sangue all’aria, per essere eliminata all’esterno, sempre a livello degli alveoli polmonari, compiendo il percorso inverso.
Nella respirazione, il polmone si comporta passivamente e perciò la penetrazione (inspirazione) e l’espulsione (espirazione) dell’aria nelle (e dalle) sue cavità è affidata a particolari muscoli della gabbia toracica e al muscolo diaframma, denominati muscoli respiratori. Questi, modificando
Quali sono i muscoli coinvolti nella respirazione e da quali motoneuroni sono innervati?
I muscoli coinvolti nel meccanismo dell'inspirazione sono: il diaframma, i muscoli intercostali esterni, i muscoli elevatori delle coste, i muscoli scaleni, i muscoli sternocleidomastoidei, i muscoli estensori del capo, i muscoli pettorali, il muscolo gran dorsale e il muscolo gran dentato.
Il diaframma è il principale muscolo inspiratorio ed è indispensabile per la respirazione; è posto fra il torace e l’addome, ha la forma di una cupola e, contraendosi, si abbassa, espandendo il diametro verticale, antero-posteriore e trasverso della gabbia toracica.
Durante l’inspirazione, pertanto, il torace si dilata in quanto le coste si sollevano e il diaframma si abbassa.
Il diaframma è innervato dal nervo frenico, con fibre di motoneuroni situati a livello C1-C3; i muscoli intercostali ricevono fibre da D1 a D12, gli addominali da D8 a D12 e gli altri muscoli accessori della respirazione dai metameri cervicali C4-C8.
Come si modifica il meccanismo della respirazione dopo una lesione spinale?
In caso di lesione incompleta tra C1 e C3 vi può essere una compromissione della funzionalità diaframmatica con severe ripercussioni sulla dinamica ventilatoria. Se non è possibile raggiungere l’autonomia respiratoria, si rende necessario il supporto di un ventilatore meccanico, a volte solo per qualche ora al giorno. La tosse, inoltre, è assolutamente inefficace e il paziente necessita di assistenza per eliminare all’esterno le secrezioni tracheo-bronchiali (catarro).
Una lesione tra C4 e C8 non compromette l’attività del diaframma, per cui l’autonomia respiratoria potrà essere raggiunta (anche se dopo un certo periodo di tempo). La paralisi della muscolatura accessoria
Perché, nella persona con mielolesione, va posta particolare attenzione al problema della tosse?
Come si è visto, sono molti i muscoli che, durante la respirazione, entrano in gioco per espandere la gabbia toracica e, quindi, per consentire ai polmoni di ossigenarsi. Dopo una lesione cervicale o dorsale alta, la respirazione non riesce più a essere profonda e regolare come prima e anche l’atto del tossire diventa molto difficoltoso.
L’inefficienza del meccanismo della tosse favorisce il ristagno delle secrezioni normalmente presenti nei polmoni, e ciò può costituire un terreno ideale per la crescita dei batteri.
Per impedire che questo accada, occorre adottare ogni accorgimento atto a migliorare l’efficacia della tosse. Uno dei più pratici è quello di creare con le mani una pressione al di sotto del diaframma (nel caso in cui siano deficitari i muscoli addominali): un paraplegico è in grado di effettuare questa manovra da solo, mentre un tetraplegico può aver bisogno dell’aiuto di una terza persona (un addetto all’assistenza, un familiare, il caregiver).
Quali accorgimenti vanno osservati per prevenire le infezioni dell’apparato respiratorio?
Per prevenire le infezioni respiratorie, possono essere sufficienti alcuni piccoli accorgimenti.
Fare attività fisica: l’esercizio migliora la circolazione sanguigna e quindi permette lo scambio di una maggiore quantità di ossigeno.
Non fumare: la nicotina irrita la parete bronchiale, paralizza le ciglia della mucosa che servono a “spazzolare” il catarro e le particelle estranee verso l’alto (per facilitarne l’espulsione), quindi favorisce le infezioni e rende più difficoltosa l’espettorazione delle secrezioni.
Evitare l’esposizione ad agenti patogeni: vivere in ambienti puliti, limitare il contatto diretto con persone affette da infezioni respiratorie e fare attenzione agli sbalzi termici, perch
Come si riconosce e come si cura un'infezione respiratoria?
Un'infezione respiratoria è contrassegnata da una serie di sintomi quali:
aumento delle secrezioni bronchiali (catarro);
affaticamento;
febbre;
brividi;
tosse;
difficoltà respiratorie, respiro affannoso (dispnea) o rumoroso (gorgogliante), e senso di "congestione" (peso) a livello toracico;
cambiamento di colore del muco verso il giallo, il verde o il bruno-rossastro.
Di fronte alla presenza di questa sintomatologia, è necessario ricorrere prontamente al proprio medico di fiducia e iniziare una terapia adeguata. Il trattamento farmacologico (a base di antibiotici, fluidificanti, antipiretici, broncodilatatori) deve SEMPRE essere effettuato ESCLUSIVAMENTE su prescrizione del medico.
Bronchiti e broncopolmoniti, in particolare nei pazienti tetraplegici, possono determinare gravi episodi di insufficienza respiratoria, che spesso richiedono il ricovero ospedaliero, a volte anche in rianimazione, e il supporto della ventilazione meccanica.
Esistono altre possibilità di intervento per aiutare la dinamica respiratoria?
Un intervento di fondamentale importanza è quello di effettuare periodicamente cicli di fisioterapia respiratoria: ginnastica diaframmatica, esercizi di espansione toracica, esercizi di espirazione forzata, drenaggio posturale (il paziente deve essere posizionato in modo che il bronco di un determinato segmento polmonare assuma una direzione verticale e verso il basso, facilitando così l’eliminazione, grazie alla gravità, delle secrezioni bronchiali), percussioni, vibrazioni, succussioni (tecniche che favoriscono il distacco delle secrezioni dalla parete dei bronchi), assistenza manuale alla tosse, riallenamento muscolare specifico. Alcune di queste manovre possono essere apprese dal paziente e dal caregiver per poter essere ripetute in maniera sia preventiva che
Perché, dopo una lesione midollare, si modifica la termoregolazione corporea?
Il controllo della temperatura corporea dipende dal sistema nervoso autonomo. Quando fa freddo, si verifica una vasocostrizione cutanea e sottocutanea per limitare l’afflusso di sangue alla periferia e ridurre la dispersione del calore; al contrario, con il caldo, la vasodilatazione e la sudorazione favoriscono l’eliminazione del calore in eccesso.
Dopo una lesione midollare, viene meno il controllo afferente della temperatura ambientale (percezione del caldo e del freddo) come pure la capacità di regolare la temperatura corporea da parte dei centri della termoregola-zione, localizzati a livello cerebrale, per impossibilità di attivare i meccanismi di termodispersione (eliminazione del calore in eccesso) situati a livello sottolesionale.
La persona con lesioni spinali, pertanto, priva di questi raffinati meccanismi di controllo, quanto più è alta e completa la lesione, assorbe o disperde calore in rapporto alla temperatura dell'ambiente in cui si trova e pertanto rischia di trovarsi alla mercé della temperatura esterna.
Come si manifesta, clinicamente, l’alterato controllo dei meccanismi di termoregolazione?
Nella persona con mielolesione, all'ipotensione e alla bradicardia (riduzione della frequenza cardiaca) si correla frequentemente una ipotermia inferiore a 36°C.
Possono anche verificarsi puntate di ipertermia che superano a volte i 41°C (cosiddetta "febbre centrale"): prima però di diagnosticarla come tale, bisogna escludere una febbre dovuta a un focolaio infettivo, a una trombosi venosa o altro.
Quando è causata da un interessamento puro del sistema nervoso auto-nomo, la febbre si associa a rossore cutaneo diffuso, a una sensazione di malessere generale e di sete e, a volte, a crisi comiziali (crisi epilettiche o convulsioni).
Anche la sudorazione
Come ci si deve comportare d'inverno o, in genere, quando fa molto freddo?
Dopo una lesione midollare, si deve prestare la massima attenzione ai problemi legati alle basse temperature. Per prevenire i rischi di ipotermia e di congelamento, è necessario che il paziente:
vesta in base al tempo e non a ciò che sente, indossando pertanto scarpe adeguate (imbottite), guanti e berretto di lana (circa il 15% del calore corporeo si disperde attraverso la testa);
faccia uso frequente di bevande calde, controllandone, ovviamente, o facendone controllare la temperatura;
eviti l’uso di coperte elettriche, imbottiture riscaldate o borse dell’acqua calda, che potrebbero restare a lungo a contatto con la pelle e provocare così delle bruciature;
per lo stesso motivo, eviti di sostare troppo vicino a un fuoco, una stufa o un termosifone, in quanto il pericolo di ustioni è sempre in agguato.
Come ci si deve comportare d'estate o, comunque, quando fa molto caldo?
Per prevenire eritemi o ustioni solari, disidratazione, colpi di sole o aumenti eccessivi della temperatura corporea, è consigliabile adottare i seguenti accorgimenti:
vestirsi in maniera appropriata, sia all’aperto che in casa;
non esporsi ai raggi diretti del sole;
indossare sempre un cappello;
usare creme protettive sulle parti del corpo esposte al sole;
aumentare l’assunzione di liquidi per mantenere una corretta idratazione.;
usare frequentemente salviette umide o acqua per rinfrescarsi;
dotare l’ambiente domestico o lavorativo di un condizionatore.
Quali altri accorgimenti adottare per evitare i rischi legati all’ambiente domestico?
I rischi possibili sono quelli di bruciature e ustioni, più frequenti in ambienti quali il bagno o la cucina.
In bagno, salvo che non siano montati appositi sanitari, occorre evitare che le ginocchia (insensibili) si trovino a contatto con tubature troppo calde, avvicinandosi al lavabo. Prima di immergersi nella vasca da bagno, misurare sempre la temperatura dell’acqua.
La cucina è un altro ambiente “a rischio”. A parte la necessità (non sempre realizzabile) di avere ampi spazi in cui muoversi con la carrozzina per evitare di urtare qualcosa di pericoloso, un accorgimento banale ma utile è quello di non appoggiare mai sulle
Le paraosteoartropatie (POA) sono neoformazioni calcifiche, di consistenza e natura simile all'osso, che si sviluppano nei tessuti molli periarticolari (tendini, legamenti e aponeurosi), senza interessare direttamente le articolazioni. Di solito compaiono nel primo anno dopo l'evento traumatico e sono appannaggio delle articolazioni sottolesionali (arti inferiori, anca e ginocchio, per i paraplegici; gomiti nelle lesioni cervicali "basse"; spalle solo in quelle "alte"), oppure nel caso di concomitante lesione cerebrale (trauma cranico). Più raramente si possono formare anche in fase cronica, per lo più secondarie ad intercorrenti complicanze locali (traumi, infezioni, trombosi).
Le cause più accreditate sono rappresentate dai microtraumi
Quali trattamenti possono essere adottati nei confronti delle paraosteoartropatie?
Il trattamento delle POA non ha dato, fino ad ora, risultati molto soddisfacenti.
Può naturalmente rivelarsi importante la prevenzione di posture scorrette a letto e in carrozzina.
Altrettanto importanti sono gli esercizi di mobilizzazione articolare passiva e, dove possibile, attiva, che debbono comunque essere prudenti, precoci e ripetuti più volte al giorno: in tal modo viene preservato un grado di articolarità sufficiente a un buon recupero funzionale o, quanto meno, può essere mantenuto un certo grado di libertà articolare.
Le terapie farmacologiche (antinfiammatori, difosfonati) e fisiche (ultrasuoni, ionoforesi, crioterapia, radioterapia, onde d'urto) non si sono rivelate sicuramente efficaci.
Il trattamento chirurgico trova indicazione quando un'anchilosi non altrimenti risolvibile limiti gravemente l'autonomia del paziente. Va tenuto presente comunque che, se l'indicazione chirurgica non è corretta (in altri termini, se la POA non ha raggiunto la completa "maturazione" e non ha cessato la fase di crescita), è molto elevato il rischio di recidive. Inoltre, dopo l'intervento, che può essere complesso e demolitivo, il "vuoto" che resta nei tessuti a volte tende a fare da "invito" alla formazione di ematomi, con i rischi che ne conseguono, non ultimo la calcificazione dell'ematoma stesso.
Quali altre complicanze ortopediche possono seguire a una lesione midollare?
Le principali complicanze sono: l'osteoporosi, le fratture patologiche, l'osteomielite e la scoliosi.
Osteoporosi
È una perdita di massa ossea (sali di calcio e proteine), determinata dall'immobilità e dall'assenza del carico, a cui fa seguito un indebolimento meccanico delle ossa e quindi un maggior rischio di fratture patologiche.
La diagnosi è radiologica e di laboratorio.
Fratture patologiche
Sono una diretta conseguenza dell'osteoporosi.
Le cause possono essere costituite da traumi (anche di lieve entità), cadute, mobilizzazioni inappropriate.
Le sedi più frequenti sono il femore, la tibia e le vertebre.
I sintomi sono rappresentati da tumefazione, deformità e aumento della
Quali trattamenti si possono adottare per prevenire o limitare le complicanze ortopediche?
Il trattamento dell'osteoporosi è costituito dall'adozione di una dieta che garantisca un costante apporto di calcio e vitamina D e dalla metodica applicazione di una serie di misure contro l'immobilità: fra le più utili, la mobilizzazione precoce (attiva o passiva) e il posizionamento in ortostatismo mediante gli apparati di verticalizzazione (anche se in letteratura non vi è una chiara evidenza scientifica a tale proposito).
Per le fratture patologiche si rende indispensabile l'immobilizzazione in tutori o in gesso, oppure l'osteosintesi chirurgica.
L'osteomielite richiede un trattamento farmacologico con antibiotici e, se necessario, un intervento chirurgico di escissione e drenaggio del segmento osseo colpito, e a volte l'ossigenoterapia iperbarica.
La prevenzione della scoliosi impone un rigoroso controllo della postura e, in alcuni casi, l'utilizzo di corsetti che, per un giusto compromesso tra efficacia e minimizzazione del rischio di lesioni da decubito, saranno preferibilmente semirigidi. L'eventuale soluzione chirurgica (stabilizzazione con mezzi di sintesi e/o innesti di osso) ha l'obiettivo di rallentare o bloccare l'evoluzione della deformità.
Per piaga da decubito (sinonimo di ulcera o lesione da decubito - LDD - o lesione da pressione - LDP) si intende un danno al tessuto cutaneo, sottocutaneo e muscolare determinato dalla compressione, con conseguente alterazione della circolazione ematica, dell'apporto di ossigeno e di sostanze nutritive. In genere, maggiore è la pressione, minore è il tempo necessario alla formazione della lesione: ciò significa che anche una pressione apparentemente moderata, ma applicata a lungo, può essere causa di una ulcera da decubito.
La cute è costituita dall'epidermide (lo strato più superficiale di difesa contro gli agenti esterni), dal derma (a prevalente contenuto connettivale) e dal
Le ulcere da decubito sono una conseguenza diretta dello schiacciamento dei tessuti molli interposti tra una parte ossea del corpo e una superficie rigida, come ad esempio il materasso o la sedia. L'effetto "lesivo" della pressione è in genere contrastato dall'azione protettiva svolta dal tessuto sottocutaneo e muscolare: uno spessore di 2 cm riduce la pressione del 50%.
La pressione permanente esercitata su una porzione di superficie cutanea rappresenta quindi il principale fattore causale nella formazione di una piaga da decubito.
Nelle zone anatomicamente predisposte (dove è minore o assente lo strato muscolare sottocutaneo), una pressione sufficiente a determinare occlusione
Quali altri fattori contribuiscono a formare le piaghe?
Oltre alla pressione e all'immobilità, vi sono altri fattori che contribuiscono alla formazione di una lesione da decubito:
Le sollecitazioni (deformazioni) da stiramento (o da taglio) che si realizzano se la pelle rimane "ancorata" al piano di appoggio ed i tessuti sottostanti si muovono (quando il paziente scivola verso il basso se la testata del letto è molto sollevata, o quando viene posizionato su di una sedia) e che rappresentano la causa più frequente di LDP a livello sacrale;
L'attrito e lo strofinamento della cute (rischio di ulcerazione o abrasione);
La macerazione cutanea;
La perdita di sensibilità tattile e dolorifica;
I disturbi circolatori legati alla riduzione del tono muscolare e alla paralisi vasomotoria;
L'insufficienza venosa (edema da stasi);
La presenza di splint, busti o altri ausili a contatto con la pelle del paziente;
Il freddo o il caldo eccessivo (borsa del ghiaccio, acqua del bagno o della doccia troppo calda, uso dell'asciugacapelli);
L'incontinenza alle feci e alle urine;
La scarsa assistenza, la mancanza di igiene e pulizia del letto e delle lenzuola;
L'obesità o la magrezza eccessiva;
La scarsa o inadeguata alimentazione;
Il diabete;
La riduzione delle capacità mentali;
Abrasioni, graffi e ustioni (bruciature).
In quali zone del corpo si formano più frequentemente?
Le piaghe da decubito si formano più frequentemente in quelle zone del corpo dove è minore o assente lo strato muscolare sottocutaneo interposto tra una prominenza ossea e la superficie di appoggio:
osso sacro, talloni, scapole, regione occipitale e apofisi spinose vertebrali in posizione supina;
tuberosità ischiatiche in posizione seduta;
trocanteri, malleoli esterni, condili femorali, gomiti in decubito laterale;
creste iliache, ginocchia, piedi in posizione prona.
Le piaghe da decubito rappresentano la complicanza più frequente nel paziente para/tetraplegico.
Il trattamento più efficace è rappresentato dalla prevenzione: un accurato programma di nursing infermieristico, di educazione e l'utilizzazione di ausili adeguati possono, nella quasi totalità dei casi, azzerare il rischio, che è, purtroppo, ancora elevato anche in ospedale qualora non si osservino le più elementari norme di assistenza alla persona con mielolesione.
La regola più importante da seguire per la prevenzione delle lesioni da decubito è l'ispezione sistematica della cute, specie delle zone a rischio.
Va effettuata dal paziente stesso, almeno una volta al giorno, utilizzando eventualmente uno specchio per le parti più difficili da vedere; se la persona non è in grado di procedere autonomamente all'ispezione, deve essere aiutata da un infermiere o dal caregiver.
L'importante è che chi esamina la cute abbia ben chiaro cosa cercare e quali siano i segni a cui prestare attenzione (persistenza di rossore o di zona di colore scuro in corrispondenza di una prominenza ossea, presenza di inusuale compattezza sottocutanea o di vescichette, pustole, croste, soluzioni di continuo o ferite della pelle).
Per un paziente costretto a letto, quali sono le posture più idonee per prevenire le piaghe da decubito?
Quando il paziente è costretto a letto, è necessario che venga correttamente posizionato supino, sul fianco o prono e che tali posture siano modificate ad intervalli regolari.
Le regioni cutanee a rischio devono essere rigorosamente protette con materiale antidecubito e mantenute in posizione con l'ausilio di cuscini o supporti adeguati.
Nel paziente allettato, la postura supina va modificata ogni 2 ore.
Il decubito prono può essere mantenuto per periodi più prolungati senza necessità di spostamenti: durante la notte consente di dormire otto ore senza interruzione, previene le deformità in flessione di anche e ginocchia e riduce l'ipertono agli arti inferiori.
La posizione prona va evitata nell'immediato periodo post-traumatico nei pazienti con difficoltà respiratorie.
In postura supina è necessario fare molta attenzione alla regione sacrale e ai talloni; in decubito laterale è importante proteggere le ginocchia, i trocanteri e i malleoli.
Il paziente seduto in carrozzina quali accorgimenti deve adottare?
In posizione seduta, il paziente deve imparare ad alleggerire la pressione sulla regione ischiatica ogni 15 minuti attraverso alcune semplici manovre:
alzare il sedere dal sedile, appoggiandosi sui braccioli della carrozzina, per circa 30 secondi;
inclinarsi prima da una parte, poi dall'altra, diminuendo alternativamente la pressione sulle tuberosità ischiatiche;
piegarsi in avanti (dopo aver bloccato le ruote della carrozzina) fino ad arrivare a toccare le ginocchia con il petto.
Per prevenire le piaghe da decubito, esistono indicazioni particolari?
L'indicazione primaria è quella di eseguire quotidianamente un'accurata pulizia cutanea, almeno nelle zone maggiormente a rischio.
Il bagno o la doccia dovrebbero, se possibile, essere effettuati tutti i giorni, evitando l'acqua troppo calda e utilizzando saponi delicati. Anche profumi e talco, che causano secchezza della pelle, nonché pomate, creme e lozioni oleose, che possono indurre macerazione cutanea, dovrebbero essere evitati. Deve essere praticata un'accurata igiene perineale dopo ogni minzione ed evacuazione, per prevenire il rischio di infiammazioni e infezioni, seguita da attenta asciugatura. Va inoltre evitato l'uso della "padella".
È necessario controllare con cura anche i piedi
Quali altri accorgimenti possono contribuire alla prevenzione delle piaghe da decubito?
Eliminare ogni causa di attrito sulle superfici di appoggio, come il trascinamento e lo sfregamento della cute durante gli spostamenti e i trasferimenti del paziente.
Deve essere ricercata una postura che eviti le sollecitazioni di taglio: la testata del letto non deve essere troppo sollevata, mentre la posizione seduta in carrozzina, con un corretto appoggio dei piedi, previene lo scivolamento e le conseguenti lesioni dorsali e sacrali. Possono inoltre essere utilizzati strumenti protettivi per diminuire l'attrito.
Curare molto la preparazione del letto. Le lenzuola devono essere sempre pulite, ben tirate e porose: vanno evitate lenzuola ruvide o spiegazzate, in
Quali attenzioni vanno riservate all'abbigliamento?
La persona con lesione spinale dovrebbe abituarsi a indossare le scarpe quando è in carrozzina, per proteggere le dita dai traumi e prevenire danni alla pianta dei piedi. In caso di micosi interdigitali o ulcere al tallone, vanno benissimo anche i sandali aperti.
Attenzione all'altezza delle suole e dei tacchi: le variazioni eccessive si accompagnano inevitabilmente a una diversa angolatura delle caviglie e, a volte, delle anche e delle ginocchia. Una "zeppa" troppo alta provocherà una maggiore estensione del piede (con possibile effetto "laccio" o decubito del calzino sul dorso della caviglia), mentre un "tacco 12" potrà determinare la "chiusura
Le ustioni sono una possibile causa di lesioni della cute: come comportarsi per prevenirle?
Per prevenire le ustioni, è necessario adottare una serie di piccoli accorgimenti, di cui si è parlato anche nel capitolo sulla termoregolazione.
Questi sono i principali:
Misurare sempre la temperatura dell'acqua del bagno o della doccia prima di immergersi (è consigliabile che non superi i 37°C);
Non fumare a letto e fare molta attenzione che la cenere o un portacenere in metallo non entrino in contatto con la pelle o i vestiti; • Non sollevare pentole bollenti dalla stufa, o liquidi caldi, in posizione tale da potersi schizzare;
Non usare imbottiture termiche, borse dell'acqua calda, coperte elettriche o asciugacapelli a diretto
Esistono ausili utili per prevenire le piaghe da decubito?
Nei pazienti costretti a restare a letto o in carrozzina per lungo tempo, è indispensabile utilizzare un materasso o un cuscino antidecubito.
Questi ausili sono costituiti da un supporto interno, rappresentato da uno o più strati di materiale solido o fluido, e da un rivestimento contenitivo (fodera esterna) facile da sfilare e da lavare.
La caratteristica principale dei materiali antidecubito è la loro capacità di non adattarsi, cioè di non lasciarsi "schiacciare" dal peso della persona (materiali cosiddetti a "bassa memoria"), in modo tale che la pressione fra la cute e il piano del letto (o della carrozzina) non superi mai il valore della pressione di chiusura dei capillari. Per ottenere questo effetto, è altrettanto importante che il peso del corpo venga uniformemente distribuito sulla base di appoggio.
Esiste in commercio una gamma vastissima di materassi e cuscini antidecubito.
Quali e quanti tipi di materassi antidecubito esistono in commercio?
A tutt'oggi, possiamo disporre di materassi ad aria, in fibra cava, con supporto in gel, in gommapiuma e ad acqua.
Esaminiamo qui le caratteristiche dei materassi ad aria, rinviando tutti gli altri alle pagine seguenti.
Il principio di base dei materassi ad aria è quello di essere costituiti da una o più camere che vengono riempite d'aria. Ne esistono di diversi tipi:
A semplice riempimento d'aria: la fodera interna viene gonfiata con una pompa, raggiungendo valori di pressione d'aria diversi a seconda del peso del paziente.
A fluttuazione naturale d'aria: la fodera interna è costituita da una
Quali sono le caratteristiche principali degli altri materassi antidecubito?
Materassi in fibra cava: sono realizzati in fibra cava siliconata, un materiale di forma cilindrica con l'interno cavo rivestito di silicone: in questo modo le fibre possono seguire agevolmente i movimenti del paziente, riducendo notevolmente l'attrito e le sollecitazioni di taglio. Realizzano, inoltre, una buona ripartizione del peso e delle pressioni su tutta la base di appoggio. Il materasso deve essere ricoperto con una fodera permeabile all'aria e impermeabile ai liquidi. Sono molto leggeri, di consistenza simile a una coperta in piuma e di facile manutenzione (si lavano in lavatrice). Non sono adatti a pazienti che necessitano
Quali letti offrono attualmente le migliori garanzie nella prevenzione delle piaghe da decubito?
Letti a cuscini d'aria: sono letti in cui la pressione dell'aria all'interno dei cuscini viene regolata da un sistema computerizzato che consente di mantenere la pressione di contatto inferiore alla soglia di chiusura dei capillari, nonché un suo continuo adattamento ai cambi di posizione del paziente. Alcuni modelli offrono la possibilità di modificare automaticamente la postura del paziente mediante un apparato elettrico di rotazione, elevazione e basculamento di tutto o di una parte del materasso.
Letti fluidizzati: in questi sistemi, un generatore d'aria mette in "ebollizione" migliaia di microsfere di ceramica siliconata che riducono a valori bassissimi la pressione di appoggio (fino a 10 mm Hg). Il paziente giace su un lenzuolo che lascia passare l'aria del compressore ma non le particelle di ceramica: in questo modo, egli "galleggia" sulle microsfere "fluidizzate" dall'aria. I letti fluidizzati sono sicuramente i presidi più efficaci; i costi molto elevati e le difficoltà di gestione non ne consentono però, al momento, una utilizzazione su larga scala.
Quali e quanti tipi di cuscini antidecubito esistono in commercio?
Sono attualmente disponibili molti tipi di cuscini con caratteristiche diverse.
Questi i principali:
Cuscini in schiuma: i cuscini in schiuma (gommapiuma) hanno una elevata memoria: non rappresentano quindi un presidio antidecubito di prima scelta. Durano poco e si riscaldano facilmente; per contro, costano poco, sono di peso contenuto e facili da gestire. È preferibile utilizzare una schiuma sagomata o perforata per favorire il passaggio dell'aria. Si consiglia di limitarne l'uso a pazienti in grado di cambiare autonomamente posizione.
Cuscini in gel: i cuscini in gel (di silicone, di poliuretano, di plastomero) devono avere uno spessore di almeno tre centimetri
Quali caratteristiche deve possedere un cuscino per svolgere un'efficace azione antidecubito?
Premesso che non esiste un cuscino antidecubito riconosciuto come il migliore e/o il più efficace nella prevenzione delle piaghe da decubito, vi sono alcune indicazioni "di massima" con cui individuare il tipo di presidio da usare in rapporto alla patologia e alle caratteristiche somatiche del paziente.
La scelta e la prescrizione del cuscino dovrebbero essere fatte contemporaneamente alla scelta della carrozzina. Infatti, se il cuscino è troppo alto, può essere difficile per il paziente raggiungere i mancorrenti e i freni; i braccioli possono risultare troppo bassi, come pure lo schienale, e così via.
Anche se non vi sono criteri universalmente
Quali caratteristiche del paziente influiscono sulla scelta di un cuscino antidecubito?
Peso: i pazienti in sovrappeso hanno bisogno di materiali ad alta densità (gel) per i problemi legati agli spostamenti; i pazienti "leggeri" necessitano di un cuscino a forma anatomica per aumentare la superficie di contatto e migliorare la distribuzione del proprio peso.
Immobilità: i pazienti che non riescono a sollevarsi periodicamente e/o a cambiare posizione autonomamente necessitano di cuscini ad aria o multistrato.
Incontinenza: la maggior parte dei cuscini antidecubito ha un lato rivestito di materiale impermeabile (a sua volta rivestito di un tessuto che facilita la traspirazione), così da ovviare a ogni eventuale fuga di urina.
Vizi posturali
Nei confronti delle piaghe da decubito esistono oggi valide possibilità terapeutiche che, anche se in tempi a volte molto lunghi, conducono a una guarigione completa.
Il trattamento di base è costituito da:
rimozione del tessuto necrotico;
detersione;
medicazione.
La rimozione del tessuto necrotico (escara) può essere effettuata chirurgicamente o mediante l'utilizzazione di enzimi proteolitici (sostanze che "distruggono" i tessuti non vitali dell'ulcera). Gli enzimi vanno applicati solo sull'escara, in quanto sono molto lesivi nei confronti della cute sana; la "pulizia" chirurgica può essere realizzata gradualmente nel tempo per evitare episodi di sanguinamento.
La detersione della piaga deve avvenire
Quali sono le più frequenti complicanze delle lesioni da decubito e come è possibile intervenire?
La più frequente complicanza delle lesioni da decubito è costituita dall'infezione superficiale che, a sua volta, può evolvere in ascesso o osteomielite.
Infezione: va distinta dalla colonizzazione, che è una contaminazione della piaga da parte di germi normalmente presenti sulla cute o nell'intestino e che può essere tollerata se rimane asintomatica. Quando i germi provocano anche la produzione di essudato più abbondante, molte volte maleodorante, o altri sintomi, si parla di infezione. Questa è una condizione che deve essere trattata, di solito con antisettici/disinfettanti e antibiotici (locali o sistemici), sempre naturalmente su indicazione medica o infermieristica.
Ascessi: si realizzano quando
Esiste anche la possibilità di trattare chirurgicamente le piaghe da decubito?
Se il trattamento locale non determina la guarigione (crescita del tessuto di "riparazione" dall'interno e riepitelizzazione) della LDD, è necessario ricorrere a un intervento chirurgico di plastica cutanea. Lo scopo è quello di ricoprire l'ulcera con cute vascolarizzata (cioè dotata di proprie arterie e vene) così da facilitare la "chiusura" definitiva della piaga.
Gli interventi più efficaci sono rappresentati dai cosiddetti lembi autoplastici miofasciocutanei: si tratta di prelevare tessuto muscolare, sottocutaneo e cutaneo e trasferirlo nella sede della lesione con il proprio fascio vascolo-nervoso (peduncolo) in modo da mantenerlo autonomo.
La tecnica chirurgica (lembo di rotazione, di scollamento, plastica
Che cos'è la riabilitazione e quali sono i principali obiettivi che si propone?
La riabilitazione ha come oggetto il trattamento della disabilità (meglio definita ora dall'OMS come "limitazione delle attività") e si propone di limitare l'handicap ("limitazione della partecipazione"), il disagio emotivo e l'insoddisfazione del paziente per il suo stato di malattia, oltre allo stress che ricade sui familiari e sulle persone che ne sono preposte all'assistenza.
È il percorso attraverso il quale un individuo sviluppa le massime potenzialità fisiche, psicologiche, sociali e occupazionali relative al danno fisico o anatomico, correlate alle limitazioni ambientali.
L'obiettivo fondamentale della riabilitazione è il reinserimento del paziente nell'ambiente familiare, lavorativo, scolastico e sociale.
I servizi di riabilitazione diventano necessari quando alla persona disabile servono assistenza per raggiungere le sue massime potenzialità e adattamenti personali e/o sociali non ottenibili autonomamente dal paziente e dai servizi disponibili normalmente nell'ambiente di vita.
Che cosa si intende per disabilità e handicap? Cosa sono gli ausili, le ortesi e le protesi?
La disabilità (limitazione delle attività) rappresenta la riduzione parziale o totale, conseguente a una menomazione, della capacità di compiere un'attività nei modi e nei limiti considerati normali per un essere umano. L'handicap (limitazione della partecipazione) rappresenta la condizione di svantaggio sociale conseguente a una menomazione o a una disabilità che limita o impedisce nell'individuo lo svolgimento di un ruolo normale. Gli ausili sono strumenti tecnici volti a compensare le funzioni che, per ragioni diverse, non possano più essere svolte o lo siano in modo anomalo, in seguito a un danno fisico o sensoriale.
Le ortesi sono dispositivi che mantengono passivamente determinati rapporti articolari e facilitano, migliorano e controllano il funzionamento delle parti del corpo menomate.
Le protesi sono apparecchi che sostituiscono totalmente o parzialmente le parti del corpo mancanti, recuperandone quanto più possibile la funzione danneggiata e/o l'aspetto estetico.
Quali obiettivi deve proporsi il trattamento riabilitativo in un paziente con lesione spinale?
Un buon programma riabilitativo deve prevedere una vasta gamma di interventi, che vanno dalla semplice chinesiterapia al letto fino alla rieducazione alle attività della vita quotidiana; per raggiungere i migliori risultati, deve continuare anche dopo la dimissione dal reparto di degenza.
Il trattamento comprende, quindi, una serie di fasi diverse, che si susseguono e si integrano tra loro, al fine di far acquisire alla persona con mielolesione il maggiore grado di autonomia possibile.
Chiaramente, nell'impostare il percorso riabilitativo, occorre fare una accurata valutazione delle condizioni complessive del paziente e, quindi, tenere conto del livello di lesione, delle capacità funzionali residue e dello stato generale sia fisico che psichico.
In linea generale, ogni programma riabilitativo prevede:
posture (a letto e in carrozzina);
esercizi respiratori;
esercizi di mobilizzazione articolare e di allungamento muscolare;
esercizi di reclutamento e rinforzo muscolare;
rieducazione alle variazioni di posizione (i cosiddetti "passaggi posturali") e ai trasferimenti (dalla/alla carrozzina, letto, lettino, WC, auto e così via);
rieducazione al mantenimento dell'equilibrio e alla deambulazione;
addestramento all'utilizzo della carrozzina;
rieducazione alle normali attività della vita quotidiana.
Nei programmi di riabilitazione, quale importanza assumono le posture e le mobilizzazioni articolari?
Le posture e le mobilizzazioni articolari sono componenti essenziali di ogni programma riabilitativo, opportunamente integrate con altri trattamenti di cui si dirà nelle pagine successive.
Posture:
Una postura corretta è importante sia per i soggetti allettati che per quelli in carrozzina, allo scopo di prevenire retrazioni muscolo-tendinee, rigidità articolari, contratture e piaghe da decubito, edemi. Il cambiamento della postura deve avvenire a intervalli regolari, sia di giorno che di notte, per i pazienti allettati, mentre successivamente varia a seconda delle necessità. Le tecniche di posizionamento vanno dal semplice cambiamento di postura degli arti all'impiego di tutori e apparecchi gessati (da usare con molta prudenza per i rischi che possono arrecare a livello cutaneo).
Mobilizzazioni articolari:
Esercizi di mobilizzazione articolare devono essere praticati più volte al giorno allo scopo di mantenere la mobilità delle articolazioni e di prevenire retrazioni muscolari in sede sottolesionale. Nell'attuare gli esercizi, occorre sempre rispettare la normale escursione articolare (ROM) in modo da evitare stiramenti mio-tendinei e microtraumi che possono favorire l'insorgenza di paraosteoartropatie. Occorre inoltre prestare particolare attenzione quando siano presenti traumatismi associati degli arti o mezzi di sintesi vertebrale.
Quali sono i principali esercizi di rinforzo muscolare e a quale scopo vengono eseguiti?
Le tecniche utilizzate variano da classici esercizi di rinforzo di tipo segmentario a metodologie globali (esercizi che coinvolgono in vario modo tutta la muscolatura di un arto o più arti, in associazione con movimenti del tronco).
Lo scopo è quello di sviluppare al massimo le potenzialità sia dei gruppi muscolari residui sottolesionali sia della muscolatura sana sovralesionale per poter compensare le funzioni colpite e consentire così al paziente di mantenere una propria autonomia.
Al paziente paraplegico viene insegnata una gamma di esercizi finalizzata al rinforzo della muscolatura degli arti superiori (fondamentale per realizzare trasferimenti corretti) e del tronco (per il controllo dell'equilibrio). Il rinforzo della muscolatura degli arti inferiori viene effettuato nei casi di lesione motoria incompleta.
Non bisogna dimenticare una attenta rieducazione respiratoria. Gli esercizi ricordati in precedenza vengono integrati con esercizi di mantenimento dell'elasticità della gabbia toracica e di riattivazione della muscolatura respiratoria. In questo modo si riduce l'ingombro bronchiale conseguente alla riduzione di efficacia della tosse, per la paralisi dei muscoli addominali e intercostali, e si mantiene una buona ventilazione polmonare.
Controllo dell'equilibrio e deambulazione: quale ruolo assumono ai fini dell'autonomia della persona con lesione spinale?
Il controllo dell'equilibrio del tronco è fondamentale per l'autonomia del paziente con lesione spinale. Infatti, solo in questo modo sarà possibile mantenere una posizione corretta e stabile in carrozzina, effettuare i trasferimenti, riprendere la stazione eretta e riacquisire, eventualmente, la possibilità di deambulazione.
Si inizia ricercando l'equilibrio e il controllo del tronco in posizione seduta, per passare successivamente alla posizione eretta utilizzando il tavolo di statica; si prosegue con esercizi per il tronco e gli arti superiori in posizione eretta, per il controllo dell'equilibrio in ortostatismo.
Mediante l'uso di tutori per gli arti inferiori, quando ciò è possibile, si insegna quindi al paziente a camminare, prima alle parallele e successivamente con un deambulatore o antibrachiali. In alcuni casi, il paziente riuscirà a riacquistare una "deambulazione funzionale", molto utile per gli spostamenti in casa o nell'ambiente di lavoro.
Quali obiettivi si propone l’addestramento all'uso della carrozzina?
Gli obiettivi da raggiungere variano in rapporto al livello di lesione del paziente.
Per i paraplegici, il trattamento prevede diverse fasi: inizialmente, il soggetto deve essere in grado di eseguire tutti i trasferimenti in maniera autonoma dalla carrozzina al letto, alla vasca, al WC e viceversa.
Quindi, si addestra il paziente a spostarsi su terreni accidentati, a rialzarsi dalle cadute, a superare gli ostacoli (gradini, marciapiedi) e a mantenere l'equilibrio su due ruote.
Per i tetraplegici, l'addestramento all'uso della carrozzina può naturalmente iniziare quando il paziente è in grado di mantenere a lungo la posizione seduta.
A parte altre caratteristiche personali, è il livello lesionale che determina la scelta della carrozzina necessaria al paziente, da quelle più comuni (in dotazione anche ai paraplegici), per l'uso delle quali occorre a volte prevedere delle modifiche (schienale, mancorrenti), a quelle elettriche con comando manuale o a bocca.
Anche a questi pazienti, quando è possibile, viene insegnato il modo per superare gli ostacoli e le regole da osservare negli spostamenti sui terreni declivi o sconnessi.
Infine, tutti i pazienti verranno educati a una corretta manutenzione della loro carrozzina.
Quale grado di autonomia può essere raggiunto da una persona con lesione spinale nelle attività della vita quotidiana?
In questa fase dell'intervento riabilitativo, assume grande importanza la presenza di un contesto socio-famigliare favorevole e attento. Inoltre, come per tutto il programma riabilitativo, gli obiettivi da perseguire variano a seconda delle caratteristiche del soggetto.
Per un paraplegico, l'autonomia nelle varie attività della vita quotidiana è legata soprattutto a un adattamento delle strutture architettoniche.
Per un tetraplegico la situazione è molto diversa: è necessario infatti rieducare il paziente anche alle attività più semplici, come mangiare, lavarsi, vestirsi, ricorrendo all'uso di tutori o splint, e ricordare che per attività più complesse (cateterismi vescicali, ispezione cutanea, igiene personale) vi è spesso bisogno, comunque, dell'aiuto di un'altra persona (caregiver).
Nell’ambito del trattamento riabilitativo, quale ruolo svolge l'attività sportiva?
Anche se l'attività sportiva (e agonistica) non è in senso stretto una metodologia di rieducazione neuromotoria, ricordiamo l'importanza che essa riveste all'interno del percorso riabilitativo delle mielolesioni: può rappresentare, infatti, già durante la prima fase del trattamento, un ottimo strumento per migliorare le performance motorie e di autonomia del paziente.
I vantaggi rispetto alle tecniche riabilitative comuni risiedono nel fatto che un atto motorio viene eseguito, appreso, allenato e utilizzato più facilmente, o quanto meno più volentieri, se inserito in un gesto che, come quello sportivo, risulta più motivante e divertente rispetto alla stessa azione compiuta per puro
Che utilità hanno le attività in acqua dopo una mielolesione?
La riabilitazione in piscina e le attività ludico-ricreative e sportive in acqua possono avere molteplici vantaggi, sia in fase acuta che in fase stabilizzata dopo una lesione midollare.
Il trattamento riabilitativo in acqua ha numerosi effetti benefici sulle conseguenze delle lesioni spinali, anche se sono in gran parte contesto-dipendenti, ovvero limitati al momento dell'immersione o a un breve periodo successivo:
riduzione del dolore, della spasticità e delle contratture muscolari;
miglioramento della circolazione ematica e linfatica, contenimento/anullamento dell'ipotensione ortostatica;
modulazione della motricità attiva con possibilità di sfruttare la facilitazione o la resistenza offerta dall'acqua (in
Il trattamento (rieducativo) iniziato durante la degenza ospedaliera deve continuare anche a casa?
Per raggiungere il miglior risultato possibile, il trattamento riabilitativo iniziato in ospedale dovrebbe continuare anche dopo il ritorno a casa, anche in regime di "autotrattamento".
A questo scopo, prima della dimissione, la persona viene addestrata a effettuare esercizi e a seguire precise norme "riabilitative" per evitare l'insorgenza di complicanze (retrazioni, paraosteoartropatie) e per non perdere le capacità funzionali acquisite durante il ricovero.
Queste sono le principali regole di comportamento che vanno osservate con costanza a domicilio:
mobilizzare - o far mobilizzare - quotidianamente le articolazioni degli arti paralizzati;
cambiare frequentemente la postura in carrozzina e sollevarsi dal sedile;
utilizzare gli eventuali
Che significato può avere per la persona con lesione spinale la ripresa della stazione eretta e della deambulazione?
Quando i pazienti paraplegici hanno raggiunto la completa autonomia in carrozzina, se lo desiderano, possono iniziare l'addestramento all'uso dei tutori per la deambulazione. Questo però non è possibile per tutti i mielolesi: nei casi di lesione motoria completa cervicale e dorsale alta, non vi è praticamente alcuna indicazione all'uso di tutori.
Nei soggetti con sezione midollare più bassa (da L2 a S5) e nei casi di lesione motoria incompleta con buon recupero della motricità sottolesionale si può invece procedere alla "tutorizzazione" degli arti inferiori: solo in questi casi, infatti, è ipotizzabile raggiungere la "deambulazione funzionale", intendendo con ciò la capacit
Che cosa sono i tutori per la deambulazione e come vengono utilizzati?
Esistono vari tipi di tutori per la deambulazione con caratteristiche ben precise, che devono essere attentamente considerate quando tali ausili vengono consigliati ai pazienti: ogni soggetto, infatti, in rapporto alla tipologia della lesione al quadrante che si presenta, alla propria valutazione preliminare e ai successivi controlli in corso di realizzazione e addestramento.
I pazienti iniziano quindi un trattamento specifico che prevede, prima di tutto, la preparazione (mediante rinforzo dei muscoli sovralesionali e dei cosiddetti "muscoli ponte", esercizi di equilibrio) e l'addestramento al corretto posizionamento dei tutori.
Successivamente si passa al carico e alla deambulazione, eseguita prima alle parallele, poi al di fuori di esse con l'utilizzazione di adeguati ausili utilizzati con gli arti superiori (stampelle con appoggi antibrachiali, deambulatore, tripodi); contemporaneamente, è fondamentale imparare ad alzarsi e a sedersi sulla carrozzina, nonché - quando possibile - salire e scendere le scale, cadere senza farsi male e rialzarsi da terra in autonomia.
I tutori per la deambulazione devono avere in ogni caso i seguenti requisiti:
essere costruiti in materiale molto resistente e leggero;
essere tollerati a livello cutaneo;
non essere troppo pesanti;
essere esteticamente accettabili;
essere facilmente indossabili.
Che cos'è lo standing, a cosa serve e quali sono le caratteristiche tecniche?
Lo standing (o apparato di verticalizzazione o stabilizzatore di statica) serve per mantenere il paziente in posizione eretta e deve avere le seguenti caratteristiche:
la base di appoggio deve permettere un accesso agevole alla carrozzina;
il sostegno per le ginocchia deve essere regolabile in altezza;
deve essere provvisto di due maniglie ai lati dell'impalcatura affinché il paziente possa alzarsi da solo o collaborare con le persone che lo aiutano;
deve avere una fascia per il bacino allo scopo di sostenere il soggetto ed impedirne la caduta all'indietro.
Molti standing, inoltre, sono muniti di un tavolo sul quale il paziente può appoggiare degli oggetti o compiere qualche attività mentre mantiene la stazione eretta: anteriormente è comunque sempre presente una barra per evitare la caduta in avanti.
Quali ausili sono disponibili per favorire l'uso degli arti superiori e delle mani?
Esistono in commercio numerosissimi ausili e tutori (o ortesi) per l'arto superiore del tetraplegico: questi ultimi possono essere di tipo statico, che hanno lo scopo di mantenere o stabilizzare una o più articolazioni, o di tipo dinamico, che "lavorano" in opposizione al deficit motorio ripristinando la funzionalità compromessa. Risulta evidente, pertanto, che ogni ortesi dovrà essere modificata e adattata alle esigenze del singolo, tenendo conto della menomazione motoria e delle capacità funzionali residue.
Si va da ausili semplici, come quelli per facilitare la prensione o l'autospinta della carrozzina (guanti, cinturino palmare, posate, bicchieri e piatti modificati), per accudire
Nel tetraplegico, il trattamento riabilitativo, la prescrizione e l'utilizzazione di ausili per l'arto superiore sono finalizzati al recupero della cosiddetta "mano funzionale".
"Mano funzionale" significa, in parole povere, modificare in maniera strutturata e duratura le caratteristiche della mano paralizzata, in modo che possa funzionare almeno in parte per l'attività di presa e rilascio di oggetti.
La modifica consiste nel provocare l'accorciamento dei tendini del palmo delle mani, affinché, anche se i muscoli della presa sono deficitari, le dita possano "chiudersi" passivamente in determinate posizioni del polso/avambraccio assunte grazie alla motricità residua.
Viene di solito eseguito
La chirurgia funzionale si propone di correggere una funzione motoria danneggiata da un evento lesivo.
Per quanto riguarda le lesioni spinali, viene utilizzata nel trattamento della spasticità (ipertono muscolare) e per ripristinare la motricità dell'arto superiore del tetraplegico.
Nella terapia dell'ipertono si eseguono interventi di tenotomia (resezione del tendine) o di allungamento tendineo e di neurectomia (sezione del nervo).
Gli obiettivi che si intendono raggiungere sono quelli di ridurre la tensione muscolare e, di conseguenza, migliorare l'ampiezza dell'escursione articolare, la funzionalità e la motilità degli arti, ridurre l'uso degli ausili e, soprattutto, prevenire le deformità e le complicanze a carico delle articolazioni (retrazioni e lussazioni).
A livello dell'arto superiore del tetraplegico, si possono effettuare trasposizioni tendinee (spostamenti di tendini), sfruttando i tendini dei muscoli risparmiati dalla lesione (cosiddetti sovralesionali) per ripristinare la motricità del gomito, del polso e delle dita della mano: la contrazione volontaria del muscolo sano, che dopo la trasposizione del tendine al posto del muscolo paralizzato ha cambiato la sua funzione, determina così la ripresa del movimento a livello dei segmenti articolari sottolesionali e il recupero dell'attività dell'arto plegico.
La chirurgia funzionale riserva altre prospettive future nel settore della riabilitazione?
Uno sviluppo ulteriore della chirurgia funzionale è costituito dalla possibilità di impiantare elettrodi, sia a livello degli arti superiori che di quelli inferiori, che consentano, mediante la stimolazione computerizzata dei muscoli paralizzati, una loro ripresa funzionale per la deambulazione o la "gestualità" delle mani.
I "comandi" da inviare ai muscoli possono essere forniti da una "centralina" computerizzata (portatile o anch'essa impiantabile) o dall'attivazione volontaria della muscolatura sana sovralesionale, collegata alla muscolatura paretica mediante appositi circuiti.
Queste metodiche rappresentano il "futuro" della riabilitazione motoria (e non solo motoria) della persona con lesione spinale.
Ovviamente, le difficoltà che questi progetti presentano sono notevoli e i costi molto elevati, ma ormai da molti anni in tutto il mondo decine di ricercatori si stanno impegnando in questo settore per cercare di restituire una speranza alle migliaia di persone che quotidianamente convivono con gli infiniti problemi legati alla lesione midollare.
La teleriabilitazione permette di creare contatti tramite video con i pazienti e i loro famigliari e ha l'evidente vantaggio di poter essere utilizzata in qualsiasi ambiente dotato di telefono fisso; nei luoghi senza telefono può essere usato un cellulare.
Viene impiegata nel proseguimento dell'assistenza ai mielolesi e alle loro famiglie, con lo scopo di offrire un supporto dopo il ricovero, controllare l'adattamento, prevenire le complicanze secondarie e facilitare il reinserimento nella comunità.
Di primaria importanza è l'aspetto legato al monitoraggio e al trattamento delle piaghe da decubito, in quanto questa complicanza può ritardare di molto la dimissione
Quali sono gli strumenti utilizzati per la videoconferenza di teleriabilitazione?
Il "teleconsulto" avviene attraverso l'utilizzo di due postazioni: una presso la struttura ospedaliera e l'altra al domicilio del paziente.
La tecnologia impiegata permette l'incontro in videoconferenza tra l'utente e i suoi familiari a casa, e il personale sanitario presente in ospedale. La postazione consente anche la trasmissione di immagini e la relativa registrazione in un archivio, che può avvenire anche in modo autonomo, attraverso una semplice procedura attivata dal paziente stesso.
L'interfaccia con l'utente può essere facilitata da comandi vocali; di solito, il sistema viene approntato in modo da non poter essere utilizzato per
Al di là delle specifiche squisitamente tecniche, che verranno prese in esame di seguito, il criterio fondamentale di scelta di una carrozzina è ovviamente condizionato dalle caratteristiche del paziente con lesione spinale.
Questi sono gli elementi più importanti:
Livello di lesione La carrozzina sarà ovviamente diversa se destinata a un paraplegico o a un tetraplegico. Anche in questi ambiti, comunque, l'estrema variabilità del quadro clinico e neuromotorio di ogni paziente non consente di standardizzare una "carrozzina tipo".
Grado di autonomia La carrozzina deve essere tale da permettere alla persona di raggiungere il massimo grado di autonomia possibile, ma allo stesso tempo deve garantirgli una postura corretta e una adeguata sicurezza.
Condizioni di utilizzazione La scelta sarà diversa a seconda che la carrozzina venga utilizzata prevalentemente in casa o fuori (e debba, per esempio, essere caricata spesso in auto o in aereo), come pure in funzione del tipo di terreno su cui il paziente abitualmente si muove e dell'attività lavorativa che svolge.
Morfologia del soggetto Per quanto possa apparire scontato, la scelta sarà anche condizionata dall'altezza, dal peso e dalla corporatura della persona con lesione spinale.
Quali sono i componenti principali e le caratteristiche tecniche di una carrozzina di tipo?
Sono tanti gli elementi che compongono una carrozzina. Li esamineremo per gruppi, iniziando dal telaio, dai braccioli e dai poggiagambe e pedane.
Telaio:
rigido o pieghevole;
larghezza massima (da mancorrente a mancorrente) da 55 a 70 cm;
peso da meno di 15 kg (carrozzina superleggera) ai 25 kg e oltre di una carrozzina per tetraplegici o elettrica.
Braccioli:
fissi, regolabili in altezza, asportabili;
l'altezza (distanza fra sedile e bordo superiore del bracciolo) ha un ruolo fondamentale nel posizionamento delle spalle e del tronco.
Poggiagambe e pedane:
fissi, estraibili, inclinabili;
le pedane possono essere due separate o uniche, regolabili in altezza, in modo da ottenere, mediante un adeguato posizionamento dei piedi, un assetto corretto della coscia sul sedile ed evitare una pressione eccessiva sugli ischi;
vi è la possibilità di aggiungere una cinghia o un appoggio posteriore per impedire lo scivolamento all'indietro dei polpacci.
Quali caratteristiche devono avere il sedile e lo schienale di una carrozzina?
Le caratteristiche del sedile rivestono un'importanza fondamentale nella prescrizione della carrozzina.
Questi sono i criteri di scelta:
larghezza: deve esistere uno spazio di circa due dita fra i trocanteri e i braccioli;
lunghezza: deve permettere l'appoggio della coscia, ma deve essere evitato il contatto con il cavo popliteo; quindi, devono esserci 4-5 cm tra il poplite e il bordo anteriore del sedile;
altezza: deve essere tale da permettere il corretto posizionamento dei piedi sulle pedane e la carrozzina deve poter passare sotto i tavoli (solitamente non superiore a 50 cm);
la tela del sedile deve poter essere
Quali particolari caratterizzano le ruote e i freni di una carrozzina per persone con mielolesione?
Ne esiste una grande varietà, soprattutto per le ruote, in rapporto al tipo di carrozzina su cui vengono montate. Le caratteristiche generali sono comunque le seguenti.
Ruote posteriori:
si tratta di ruote grandi, che permettono l'autospinta della carrozzina, e sono dotate di mancorrenti;
se sono posizionate in avanti (rispetto al telaio dello schienale), si avrà una carrozzina che impenna più facilmente (utile, per esempio, per fare i gradini), ma poco stabile; mentre, se sono posizionate posteriormente, la stabilità aumenta, ma la spinta risulta meno efficace;
i mancorrenti possono essere ricoperti da materiale antiscivolo o dotati di pioli per migliorare
Le carrozzine si possono dividere genericamente in due grandi gruppi: a spinta manuale (o ad autospinta) e a comando elettrico.
La carrozzina elettrica è indicata nel caso in cui la spinta manuale non sia possibile o poco efficace, faticosa, fonte di sovraccarico, lenta.
Ne esistono fondamentalmente di due tipi: a ruote piccole (leggere, con ruote di piccolo diametro, smontabili e trasportabili, indicate per gli spostamenti in casa) e a ruote grandi (più potenti ma più ingombranti, più confortevoli e più adatte agli spostamenti all'esterno, di difficile trasporto in automobile, di costo elevato).
Il comando può essere manuale (leva o joystick), a mento o a soffio, in relazione alle quote motorie residue del soggetto.
Per tutti i tipi di carrozzina, comunque, è disponibile una vasta gamma di adattamenti, allo scopo di modulare i vari componenti alle esigenze del paziente.
Un modello particolare di carrozzina è la cosiddetta "verticalizzante" o "verticalizzabile", che consente l'assunzione della stazione eretta mediante un meccanismo manuale o elettrico, senza doversi trasferire su uno stabilizzatore di statica (standing).
Esistono infine carrozzine speciali (ultraleggere e dotate di accessori personalizzati) per coloro che praticano abitualmente attività sportive, soprattutto se a livello agonistico.
Secondo le necessità, la carrozzina può essere dotata di alcuni accessori: quali ricordare?
Vengono di seguito elencati i più importanti:
tavolino/piano di lavoro: viene fissato ai braccioli ed è usato sia come tavolo per consumare i pasti sia come piano di lavoro;
rotelline di sicurezza: vanno posizionate dietro, tra le ruote posteriori; generalmente ne basta una nel mezzo per evitare il ribaltamento all'indietro della carrozzina nel caso di impennata non controllata;
rotelline piccole posteriori: servono per passare attraverso porte strette (per esempio, l'ascensore) quando vi è la necessità di estrarre le ruote grandi;
poggiatesta: è montato sullo schienale nel caso in cui il paziente abbia uno scarso o assente controllo del capo;
ausilio WC: rappresentato da un'apertura sul sedile, con coperchio sopra e vaschetta sotto, entrambi amovibili, per utilizzare la carrozzina come sedia comoda (nei soggetti mielolesi si usa raramente).
Il cuscino antidecubito è un accessorio fondamentale della carrozzina: quali caratteristiche deve avere?
Il cuscino antidecubito è un ausilio che deve essere usato da tutti i pazienti mielolesi quando vanno in carrozzina. Previene la formazione delle piaghe da decubito che si formano in corrispondenza dell'ischio (la protuberanza ossea sulla quale poggiamo quando manteniamo la posizione seduta).
Il cuscino da solo non è comunque sufficiente: è necessario pertanto effettuare sollevamenti e spostamenti di carico più volte al giorno.
Si è già trattato questo argomento parlando delle piaghe da decubito; vengono qui ricordati alcuni tipi di presidi e le loro principali caratteristiche.
Esistono vari modelli di cuscini antidecubito: ad aria, al silicone, in gel personalizzati, a fluttuazione asciutta
Quali controlli sono necessari per una corretta manutenzione della carrozzina?
È utile ricordare alcune parti della carrozzina da verificare regolarmente per evitare che anche un piccolo problema "tecnico" possa costringere il paziente a letto.
In modo particolare, controllare sempre la pressione dei pneumatici, la tensione dei raggi (per accertarsi che le ruote non siano deformate), il funzionamento delle piccole ruote anteriori (un "gioco" eccessivo le usura rapidamente); occorre inoltre che i mancorrenti siano ben fissati, così come i braccioli, che la tela del sedile e dello schienale sia adeguatamente tesa e che i freni siano perfettamente in ordine. Per la pulizia delle cromature è sufficiente uno straccio inumidito con alcol, mentre per l'ingrassaggio è opportuno seguire attentamente le indicazioni dell'azienda che ha costruito il presidio.
Le riparazioni dovrebbero essere eseguite esclusivamente dai rivenditori, perché qualsiasi manomissione può invalidare la garanzia e compromettere eventuali future sostituzioni. Esistono piccole modifiche che una persona con lesione spinale potrebbe effettuare da sola per adattare la carrozzina alle proprie esigenze; è necessario però che abbia un minimo di conoscenze e di pratica per non fare dei danni.
Capita spesso, comunque, ed è anche consigliabile, che la persona cominci a gestirsi in autonomia, diventando, il più delle volte, un esperto "autodidatta".
Le cosiddette “barriere architettoniche”: come eliminarle o ridurle per favorire l’autonomia della persona con lesione spinale?
Purtroppo, l'ambiente è ricco di elementi che impediscono a soggetti aventi capacità fisiche, psichiche o sensoriali limitate di muoversi in maniera autonoma: si tratta delle cosiddette "barriere architettoniche".
Questi ostacoli sono relativi sia a spazi confinati (edifici e attrezzature), sia a spazi aperti (percorsi pedonali, parcheggi), sia a mezzi di trasporto.
Il problema principale è l'eliminazione delle barriere o, comunque, la loro riduzione nell'ambiente costruito. Grazie anche all'emanazione di norme volte al loro superamento, attualmente, nella progettazione di nuovi edifici si cerca di tener conto di tutte le potenziali categorie di utenti, favorendo così l'inserimento sociale e l'autonomia del disabile.
Le barriere architettoniche rappresentano il primo vero problema che la persona con lesione spinale deve affrontare una volta "rientrata finalmente a casa".
Se infatti l'abitazione e gli accessi dall'esterno non sono stati adeguatamente e preventivamente modificati, viene inevitabilmente frustrato quel desiderio di un immediato ritorno a una vita "normale", che per tanti mesi aveva costituito la principale aspettativa del paziente durante il ricovero in ospedale.
Quali locali della casa devono essere adattati per favorire una sufficiente autonomia?
I corridoi devono avere una larghezza pari ad almeno 150 cm per permettere la rotazione della carrozzina e il passaggio contemporaneo di un'altra persona.
La camera può essere organizzata in vari modi, in rapporto alla tipologia della lesione e alle esigenze familiari del paziente.
La superficie minima può variare da 350 x 300 cm nel caso di stanze con letto singolo fino a 550 x 400 cm per camere doppie o matrimoniali; la distanza fra i mobili dovrebbe essere di almeno 80 cm e deve essere lasciato uno spazio libero di almeno 120 cm a fianco del letto per
Quali sono le caratteristiche di cui devono essere dotati i bagni?
Nella progettazione dei servizi igienici, è molto importante il corretto posizionamento dei sanitari e dei presidi di supporto.
Si consiglia l'uso di un lavabo a mensola, con bordo superiore a circa 80 cm e inferiore a circa 70 cm da terra (per consentire il passaggio delle gambe), dotato di tubature calorifughe e rubinetto con miscelatore a leva lunga. Le mensole per gli oggetti da toilette vanno collocate circa 15 cm sopra il lavabo. Lo specchio dovrebbe essere abbassato o inclinato verso il basso.
La doccia deve essere a filo del pavimento, con fondo inclinato senza margine rialzato, tubo flessibile, mancorrenti
Quali adattamenti e dettagli tecnici vanno previsti, in particolare, per WC e bidet?
Per quanto riguarda il WC, si consiglia l'uso di modelli sospesi, con altezza da terra fra 38 e 55 cm, bordi smussati per proteggere la pelle, appoggiabraccia ribaltabile sui due lati e schienale regolabile in profondità.
Per consentire i trasferimenti, lasciare uno spazio di circa 80 cm fra la tazza e il muro (o un altro elemento sanitario) e, in alcuni casi, può essere indicato l'uso di un trapezio murale pivottante.
Il sistema di scarico dell'acqua deve essere facilmente accessibile e semplice da usare; sono preferibili quelle soluzioni che prevedono la pressione su di una leva o su di un pulsante (meglio se opportunamente adattato).
Il bidet viene attrezzato con impugnature d'appoggio ai lati (estraibili o fisse); si raccomandano i modelli sospesi, ricordando di mantenere un'altezza del bordo superiore da terra pari a 50 cm. La rubinetteria dovrà avere le medesime caratteristiche previste per il lavabo.
Una valida alternativa al bidet è l'applicazione di una doccetta da utilizzare rimanendo seduti sul WC: è una soluzione già diffusa anche per i "normodotati" nei non pochi paesi extraeuropei dove vige l'abitudine di usare l'acqua al posto della carta igienica.
Anche la cucina richiede adattamenti e misure particolari: quali sono i principali?
Uno dei principali requisiti e/o adattamenti della cucina è quello relativo alle dimensioni: è necessaria una superficie minima di circa 250 x 300 cm, mantenendo sempre uno spazio libero fra i vari componenti dell'arredamento di circa 150 x 150 cm per consentire i movimenti della carrozzina.
L'altezza dei piani di lavoro, dei tavoli e dei vari elementi di cottura deve essere di circa 80 cm da terra, con spazi sottostanti accessibili al passaggio delle gambe.
Il lavandino della cucina dovrà avere le stesse caratteristiche già descritte per il lavabo del bagno, sia per quanto concerne l'altezza, sia per le tubature calorifughe e i rubinetti a leva lunga forniti di miscelatore.
Gli armadietti vanno fissati a 40-110 cm da terra e muniti di ante scorrevoli: vanno evitati sportelli con apertura a cerniera. Esistono sul mercato anche modelli di pensili scorrevoli in verticale su apposite guide di grande praticità, anche perché aumentano notevolmente le superfici disponibili.
Le prese di corrente e gli interruttori vanno posizionati a un'altezza fra 90 e 110 cm: questi ultimi, se azionabili con una leggera pressione del gomito, possono essere utilizzati anche dai tetraplegici.
Come devono essere modificati gli accessi all'abitazione dall'esterno?
Per accedere agli edifici è necessario che l'ingresso sia complanare con i percorsi pedonali di avvicinamento, oppure che sia attrezzato con rampe di larghezza minima pari a 150 cm e pendenza non oltre 1'8%.
Ogni rampa, nelle zone di arrivo, deve essere munita di aree di disimpegno con una superficie non inferiore a 130 x 130 cm e, nel caso abbiano uno sviluppo superiore a 10 m, è opportuno prevedere adeguati ripiani di sosta. Lungo un lato della rampa va posto un corrimano a circa 80 cm di altezza, costruito in materiale non scivoloso e di facile impugnatura.
Le scale
Quali sono gli adattamenti previsti per le principali strutture esterne?
Gli adattamenti riguardano in particolare marciapiedi, passaggi pedonali e parcheggi, che devono consentire un utilizzo senza problemi della carrozzina.
Marciapiedi La dimensione corretta per un percorso pedonale è di 150 cm, con un dislivello fra zone adiacenti non superiore a 2,5 cm, facendo attenzione a non creare restringimenti o a inserire elementi che ne intralcino l'utilizzo. Nei tratti inclinati, la pendenza non deve essere superiore al 5%. La pavimentazione deve essere antisdrucciolo, con superficie ben livellata; occorre, inoltre, fare in modo che eventuali griglie non siano causa di "incastro" delle ruote della carrozzina.
Passaggi pedonali Quando non sia possibile
Quali altre strutture pubbliche richiedono particolari adattamenti o modifiche?
Come per marciapiedi e passaggi pedonali, in molte città si è già provveduto o si sta provvedendo a un adeguamento di strutture di pubblica utilità come i servizi igienici o le cassette per le lettere.
Servizi igienici pubblici Devono essere agevolmente raggiungibili e fruibili da pazienti in carrozzina, quindi avere dimensioni tali da permettere manovre di rotazione e di accostamento ai sanitari. Inoltre, è necessario l'inserimento di specifici ausili, come quelli già descritti per i locali delle abitazioni; utile, ove possibile, un antibagno per un eventuale accompagnatore.
Cassette per le lettere Devono essere dotate di uno spazio libero antistante di larghezza di almeno 150 cm, mentre l'apertura va collocata a un'altezza non superiore a 110 cm.
Quali accorgimenti consentono di muoversi più agevolmente in casa e all'esterno?
In generale, nel momento in cui la persona con lesione spinale si abituerà a muoversi autonomamente in casa, sarà egli stesso a trovare le soluzioni più adatte alla propria situazione.
Alcuni suggerimenti utili a facilitare gli spostamenti possono essere:
rimuovere i tappeti, in quanto possono attorcigliarsi alle ruote della carrozzina;
utilizzare eventualmente tappeti a pelo corto, perché sono i più semplici su cui manovrare;
pavimentare le stanze con superfici in legno e in linoleum; tenere gli oggetti di uso comune sempre in luoghi facilmente accessibili.
Anche fuori dalla propria abitazione, in locali pubblici o comunque in locali non conosciuti, dovranno
La persona con lesione spinale deve seguire un'alimentazione particolare?
Se un'alimentazione corretta ed equilibrata è molto importante in un soggetto sano, in una persona con lesione spinale assume una vera e propria valenza terapeutica.
Il criterio guida fondamentale è costituito dal fatto che l'apporto nutritivo e di calorie deve essere proporzionato alla ridotta attività che consegue obbligatoriamente al nuovo stato.
La dieta deve comunque essere varia e contenere tutti gli elementi indispensabili alle necessità metaboliche del paziente, quali proteine, carboidrati, grassi, vitamine e minerali, senza dimenticare l'importanza dei liquidi, soprattutto l'acqua.
Qual è l'importanza specifica di proteine, carboidrati e grassi nell’alimentazione della persona con lesione spinale?
Le proteine servono in particolare per la crescita e la riparazione dei tessuti e aiutano a prevenire le infezioni; va pertanto previsto un apporto proteico pari a circa il 13-14% del totale delle calorie giornaliere (fino al 20% in presenza di piaghe da decubito).
Alimenti ricchi di proteine sono la carne, il pesce, le uova, i formaggi, i latticini e, tra gli alimenti di origine non animale, i legumi, i funghi e le arachidi. Per i soggetti con difficoltà di masticazione e deglutizione, è possibile ricorrere a supplementi proteici in polvere da aggiungere al pasto.
I carboidrati rappresentano la fonte
Quali vitamine e altri elementi possono risultare utili per il metabolismo della persona con lesione spinale?
Particolarmente indicate sono le vitamine del gruppo B, la vitamina A e la vitamina C.
Le vitamine del gruppo B favoriscono la digestione, la funzionalità di nervi e muscoli, il trofismo della pelle e degli occhi. Si trovano nella carne, nel pesce, nella verdura, nelle uova, nei farinacei, nei cereali e nella frutta.
La vitamina A è fondamentale per la crescita, per la pelle e le mucose, e per migliorare la visione notturna. È presente nelle carote, nelle verdure a foglia verde, nella frutta gialla (come le albicocche), nel latte e nei latticini, nelle uova.
La vitamina C facilita l'assorbimento del
È necessario che la persona con lesione spinale controlli il proprio peso?
Il mantenimento di un peso ideale, oltre ad aiutare a prevenire problemi comuni anche nei soggetti sani (cardiaci, circolatori, respiratori, osteo-articolari), è di fondamentale importanza per l'autonomia del paziente. Un peso eccessivo, infatti, può rendere più complessi gli spostamenti e limitare così il movimento.
Nel caso in cui si renda necessario perdere peso, è opportuno, in generale, e per una persona con lesione spinale in particolare, che la dieta sia prescritta da un esperto, onde evitare squilibri e/o carenze alimentari.
Ricordiamo per inciso che, purtroppo, non sempre in carrozzina vi è la possibilità di pesarsi regolarmente e correttamente.
Qualche parametro indicativo: per un medulloleso maschio giovane-adulto (18-59 anni) in normopeso, che non svolga abitualmente attività sportiva, è indicata una dieta da circa 1800-2000 calorie, mentre per una donna bastano in genere 1500-1600 calorie al giorno.
Nelle persone in sovrappeso è consigliabile una dieta non superiore alle 1500 calorie giornaliere per gli uomini e alle 1250 per le donne; negli anziani (oltre i 60 anni) è in genere sufficiente un apporto calorico di circa 1200 calorie al giorno.
Nella pagina seguente sono riportate tre diete rispettivamente da 1800, 1500 e 1250 calorie/die.
Quali e quanti tipi di dolore si possono identificare nella persona con mielolesione?
Nonostante l'assenza di sensibilità, almeno il 50% delle persone con lesione spinale accusa, più o meno precocemente, dolori caratterizzati da spiccato polimorfismo per ciò che concerne situazioni scatenanti, tonalità e cronicità.
A volte, il paziente avverte anche delle sensazioni "strane" provenienti dalle parti del corpo situate sotto il livello della lesione: le fibre dolorifiche midollari, danneggiate e disconnesse dai centri corticali, sono la causa di questi fenomeni, che vengono comunemente definiti "parestesie", in quanto assumono le caratteristiche di pizzicori, formicolii, punture, eccessivo senso di caldo o freddo.
Nelle lesioni spinali si possono riconoscere diversi tipi di dolore: rinviando alle
Che cosa si intende per “dolore metamerico”, “dolore psicogeno” e “alterazioni dello schema corporeo”?
I dolori metamerici sono di origine radicolare, solitamente localizzati al livello della lesione, al limite superiore dell'anestesia. Hanno una distribuzione metamerica (cioè sono avvertiti dal paziente nelle zone cutanee innervate dalla radice lesa: a cintura nella regione addominale e toracica, lungo gli arti superiori e inferiori rispettivamente nelle lesioni cervicali e in quelle lombari); insorgono acutamente, in modo lancinante ("come un colpo di pugnale") e possono assumere le caratteristiche dell'iperestesia dolorosa (dolore che si scatena al semplice contatto della cute del paziente con la mano dell'esaminatore o con vestiti e lenzuola).
La diagnosi di dolore psicogeno va naturalmente posta per esclusione di tutti i tipi di dolore fin qui esaminati. È un dolore che può essere determinato (e/o accentuato), più o meno coscientemente, da componenti non organiche quali depressione, personalità nevrotica, rivendicazioni medico-legali ed economiche.
Le cosiddette alterazioni dello schema corporeo sono sensazioni particolari che interessano gli arti inferiori e spesso non sono dolorose, ma non per questo non fastidiose. Il paziente avverte vibrazioni, pressioni, costrizioni o la sensazione che il proprio corpo "non sia più come prima" ("assenza" degli arti inferiori, "scomparsa" del tronco).
Quali terapie si possono adottare in presenza di dolore?
La terapia del dolore nella persona con mielolesione rappresenta spesso un problema di non facile soluzione, in quanto, nonostante vi siano molteplici ed eterogenei sistemi di cura, nessuno di essi ha un'efficacia sicuramente dimostrata.
Il trattamento, comunque, farmacologico e non, in ogni caso deve SEMPRE essere effettuato ESCLUSIVAMENTE su prescrizione del medico.
Gli analgesici minori (paracetamolo, antinfiammatori non steroidei o FANS, corticosteroidi) sono indicati per i dolori vertebrali, metamerici e sottolesionali.
Per i dolori metamerici e sottolesionali, molto spesso è necessario ricorrere a farmaci diversi come gli antiepilettici (carbamazepina, pregabalin, gabapentin), i derivati benzodiazepinici (clonazepam) e gli antidepressivi (trazodone, duloxetina
Quali accorgimenti pratici e quale atteggiamento mentale possono contribuire al controllo del dolore?
Il dolore può condizionare moltissimo la qualità di vita del paziente e, purtroppo, spesso anche le terapie non riescono da sole a risolvere questo problema, che in molti casi rappresenta una delle conseguenze più severe delle lesioni spinali.
In associazione alle terapie farmacologiche, può rivelarsi allora molto utile osservare alcuni accorgimenti, quali:
usare tecniche di rilassamento per diminuire la tensione muscolare, regolare il respiro e "sedare i pensieri";
non insistere troppo a lottare, "combattere" il dolore, a volte lo fa aumentare;
rilassare i muscoli della faccia;
cercare di distrarsi pensando ad altre cose e/o curando hobby personali;
controllare il dolore, non lasciando che interferisca con le attività lavorative, sociali e familiari;
definire le sensazioni dolorose "disagio" e non "dolore" per cercare di esorcizzarle e minimizzarle;
ignorare il disagio e concentrarsi su sensazioni "piacevoli".
Come già ricordato a proposito della spasticità, è comunque fondamentale che il paziente impari a "resistere" tenacemente a questa situazione, seguendo le indicazioni terapeutiche che gli sono state prescritte, senza dimenticare mai che nella gestione della "patologia della persona con lesione spinale" molto dipende dai comportamenti e dagli atteggiamenti che il soggetto mantiene nei confronti della propria malattia.
Che cosa può accadere, dal punto di vista psicologico, a una persona subito dopo una lesione midollare?
La lesione midollare arriva nella vita della persona solitamente in modo inaspettato, improvviso, con le caratteristiche cioè dell'esperienza traumatica. Il trauma è un evento della vita del soggetto caratterizzato da:
intensità (shock violento) tale da rendere l'individuo incapace di rispondervi adeguatamente;
effetti patogeni durevoli sull'insieme dell'organismo;
effetti sull'organizzazione psichica, cioè sulla capacità di dominare ed elaborare le sollecitazioni successive.
Quando l'evento segna gravemente e indelebilmente il corpo, come nel caso della lesione midollare, anche la mente viene in qualche modo "ferita" e vive una condizione di "trauma psichico", i cui effetti psicologici sono:
paura intensa
Come avviene l'adattamento psicologico nella persona con lesione midollare?
Per "adattamento" si intende il processo attraverso il quale ogni essere vivente stabilisce un rapporto di equilibrio con l'ambiente in cui vive.
Il percorso di vita dell'essere umano è caratterizzato da numerosi cambiamenti che richiedono alla persona la continua sperimentazione delle proprie risorse cognitive ed affettive per superare le frustrazioni, le separazioni e le prove di crescita.
Possono però verificarsi circostanze in cui la persona si trova a misurarsi con un'esperienza traumatica, vale a dire con un'esperienza che provoca un vissuto di "rottura" della continuità della propria esistenza.
Senza dubbio, una lesione midollare determina un totale sconvolgimento
Come si modifica l’immagine della propria persona dopo una lesione midollare?
Nel corso della vita, ogni individuo si costruisce un'immagine della propria persona integrando l'immagine del proprio corpo e le esperienze con il mondo esterno, in un continuo interscambio tra la propria immagine, quella degli altri e l'immagine di sé che proviene dagli altri. In questo processo dinamico, il corpo svolge il ruolo fondamentale di mediatore tra sé e l'esterno.
Un evento traumatico, come quello che conduce a una lesione spinale, ha un impatto violento sull'immagine di sé della persona che lo vive. La persona si trova nella situazione di dover rimodellare la propria immagine e
A quali risorse attingere per affrontare il processo di adattamento?
In una condizione come quella che si trova a vivere la persona con lesione midollare (che richiede una totale riorganizzazione della propria esistenza), gli aspetti di "risorsa" sono molto importanti. Sono questi, infatti, che sostengono il processo di adattamento.
Le modalità con cui ciascuna persona fa fronte alle difficoltà in modo abituale e quelle attivate per fronteggiare questo evento in particolare svolgono in questo processo un ruolo preminente.
La capacità di tollerare la frustrazione, di esaminare la realtà e una buona stima della propria persona sono risorse utili per affrontare il lungo percorso riabilitativo, così come il poter mantenere i
Che importanza assume l'autonomia per la persona con lesione midollare?
Il cammino verso l'autonomia per l'essere umano richiede tempo e un ambiente facilitante, cioè un ambiente che possa accogliere e sostenere le caratteristiche personali per far sì che la persona possa attuare il progetto di realizzazione di sé.
Per autonomia, quindi, si intende non solo "movimento del corpo", ma anche, e in maniera determinante, "movimento del pensiero": infatti, attraverso l'attività del pensiero, l'essere umano può raggiungere e mantenere la padronanza ambientale, la crescita personale, l'accettazione di sé, le relazioni positive con gli altri, e lo scopo nella vita.
Per la persona con lesione midollare, inizialmente
Quale cambiamento coinvolge la famiglia e le persone affettivamente significative?
L'evento lesivo che comporta una lesione midollare coinvolge e sconvolge necessariamente tutte le persone con le quali la persona è in una relazione affettivamente significativa. I familiari spesso si identificano totalmente con ciò che di negativo accade al loro caro, sentendo e provando gli stessi stati d'animo, per esempio il sentimento di impotenza, di perdita di controllo rispetto a questa situazione completamente nuova, o la tristezza e la rabbia per quanto è accaduto ("paralisi familiare").
La responsabilità nei confronti della persona con lesione midollare è avvertita in modo particolare dai genitori rispetto ai figli, attraverso l'atteggiamento di protezione che si
Come i familiari possono favorire il processo di adattamento?
I famigliari favoriscono il processo di adattamento attraverso l'accompagnamento e il sostegno affettivo alla persona con lesione midollare, nel riconoscimento degli aspetti di bisogno e nel favorire quelli di autonomia. È importante valutare il bisogno effettivo della persona: a volte, essere sempre presenti serve a colmare la propria ansia piuttosto che a rispondere al bisogno espresso dal proprio caro.
Il senso di continuità affettiva che i famigliari rappresentano e che è così importante per la persona che deve riorganizzare la propria esistenza non è determinato solo dalla loro presenza; il contatto può essere mantenuto attraverso forme diverse e il ruolo occupato può essere svolto anche nella distanza (ad esempio, quello paterno o materno, che spesso è fonte di preoccupazione per le persone in fase di ospedalizzazione).
Il rientro a domicilio, anche durante l'ospedalizzazione, attraverso l'utilizzo dei permessi, può facilitare l'adattamento successivo alla vita sociale perché consente di affrontare gradualmente l'ambiente esterno all'ospedale e favorisce la ripresa dei contatti sociali, così indispensabili per il reinserimento nel proprio ambiente di vita.
Quali cambiamenti possono verificarsi nel rapporto di coppia?
Ogni rapporto di coppia è caratterizzato da elementi dipendenti dalla struttura dell'interazione tra i due partner e dalle modalità di rapporto della coppia con la realtà esterna alla coppia stessa (famiglia d'origine, attività lavorativa, relazioni amicali, interessi più o meno condivisi).
Sono inevitabili momenti di "disequilibrio" anche nel rapporto di coppia più solido: in queste circostanze, una adeguata capacità di comunicare permette il superamento delle incomprensioni.
Nella sconvolgente realtà della lesione midollare, gli equilibri vengono, comprensibilmente, messi in discussione; la persona con lesioni spinali si chiede quanto può ancora essere "partner", non essendo più in grado di condividere totalmente
Come conciliare l’aspetto dell’assistenza con il proprio ruolo all’interno della famiglia?
Solitamente, nella famiglia i ruoli e le funzioni sono definiti: i genitori hanno il ruolo di adulti e svolgono nei confronti dei figli la funzione di accompagnamento alla crescita.
Queste funzioni sono evidenziate da comportamenti di cura e di accudimento per assicurare la soddisfazione dei bisogni dei più piccoli.
I figli possono manifestare sorpresa e disorientamento e, in particolare per gli adolescenti, reazioni di rabbia davanti alla realtà del genitore che, a causa della lesione midollare, necessita delle attenzioni e delle pratiche di accudimento proprie della persona "piccola": il bisogno di cure può essere percepito come "incapacità" o "rinuncia" rispetto
Quali aspetti sono rilevanti al momento della dimissione?
Il rientro a casa comporta la separazione da una struttura, quella ospedaliera, vissuta come protettiva, sia relativamente agli aspetti di cura della persona sia agli elementi più legati allo spazio fisico, per esempio l'accessibilità. All'interno dell'ospedale, il confronto con le altre persone ricoverate, che vivono un'esperienza simile e con le quali vi è molto spesso la condivisione di problemi, può far sentire la persona più sicura.
Il sentimento di sentirsi soli, una volta a casa, è frequente rispetto alle difficoltà che si pensa di dover affrontare.
È importante che la persona abbia tutte le informazioni utili per la migliore gestione della propria situazione. L'attenzione può essere posta sia agli aspetti di cura della persona (addestramento del caregiver, valutazione dello spazio abitativo, ausili da utilizzare) sia a quelli che consentono un ritorno a una cittadinanza attiva (contatti con i servizi territoriali, associazioni presenti sul territorio).
La possibilità di mantenere un rapporto con la struttura per problemi specifici rende la persona in grado di sentirsi aiutata nella soluzione degli stessi.
Come può essere affrontato il reinserimento nel proprio ambiente di vita?
Come è già stato detto in precedenza, quando un trauma provoca una lesione midollare, spesso si verifica nella persona una perdita del senso della propria integrità non solo fisica, ma anche psicologica, tale che è necessario un processo di rielaborazione della propria dimensione individuale e relazionale. Il reinserimento è la fase finale del progetto riabilitativo, ma è importante che la persona, una volta superata la fase acuta, torni agli "affari" della vita quotidiana; in questo può essere molto d'aiuto la famiglia, che può rendere partecipe il proprio caro in ospedale di problemi e situazioni contingenti per avere la sua opinione.
Nella fase del
Quali sono gli aspetti psicologici legati alla relazione con l'assistente a domicilio?
È possibile che il ruolo di caregiver (la persona che aiuta in maniera preminente) sia svolto da qualcuno che non è un familiare, ma da una persona che si occupa professionalmente dell'aspetto dell'assistenza; una nuova figura che orienta il suo percorso formativo allo svolgimento di questo ruolo.
Oltre alla garanzia sulle competenze per quanto riguarda gli aspetti tecnici dell'assistenza alla persona con lesioni spinali, occorre tenere presente che comunque si tratta della condivisione di un'esperienza in cui gli aspetti relazionali sono sempre in primo piano.
Come in ogni relazione d'aiuto, sono rilevanti: l'attitudine all'ascolto, la
Quale proiezione nel futuro? Quale qualità della vita?
Per ogni essere vivente, e quindi anche per l'essere umano, la qualità della vita è strettamente collegata al rapporto che l'individuo ha con l'ambiente in cui vive. A differenza delle altre specie viventi, l'essere umano, grazie all'attività psichica, può "trasformare" il rapporto con la realtà esterna, agendo attivamente per adattarsi alle condizioni che la realtà offre, modificandole a seconda delle proprie necessità del momento.
Le persone esposte a eventi traumatici possono sentirsi sopraffatte; possono temere di aver perso i punti di riferimento psicologici necessari per:
riconoscersi in un'immagine/opinione di sé positiva;
mantenere l'interesse
Possiamo considerare il viaggio come metafora della vita, ovvero un percorso denso di nuove esperienze che, alla fine, ci riporta dove siamo partiti.
Per una persona in carrozzina, la metafora è ancora più efficace: viaggiare diventa un contesto nel quale occorre misurarsi con situazioni nuove e trovare soluzioni organizzative e logistiche non sempre pianificabili alla partenza; significa indagare le proprie possibilità e potenzialità, comporta fare esperienze preziose sulle proprie risorse e sui propri bisogni al di fuori degli rassicuranti schemi quotidiani.
Il viaggio, dunque, può diventare, se ad affrontarlo è una persona affetta da lesione spinale, una modalità piacevole e divertente per
Come avere informazioni relative all’accessibilità di luoghi e strutture?
Le proposte di viaggio delle riviste specializzate e delle agenzie spesso non danno precise indicazioni sull'accessibilità per persone in carrozzina; questa va sempre puntualmente verificata e, a volte, non basta. Negli ultimi anni abbiamo visto comunque un significativo incremento di agenzie e compagnie di viaggio che offrono proposte studiate per soggetti disabili.
Qualcosa sta cambiando e, da persone "in-valide", i viaggiatori con disabilità sono riconosciuti come clienti con "bisogni speciali". È un salto culturale importante, che spesso non tiene conto del fatto che la disabilità è una definizione troppo vaga, poiché comprende persone con difficoltà a volte molto diverse fra
Quali indicazioni e suggerimenti possono essere utili per una persona con lesione midollare in viaggio?
La prima preoccupazione per tutti è l'eventualità di ammalarsi lontano da casa: il termometro e un antipiretico vanno sempre bene, ma una persona con lesione midollare dovrà portare con sé anche un antibiotico a largo spettro. Inoltre, ci sono i farmaci che tutti i viaggiatori non dovrebbero mai dimenticare, come gli antidiarroici e gli antidolorifici. In base alla regione visitata, potrà essere utile, a seconda dei casi, un insetticida, una crema di protezione solare o idratante.
Importante è bere molto, specialmente se fa caldo, per reintegrare i liquidi. Va tenuto presente che in numerosi Paesi vi è scarsità di servizi igienici adeguati
Oggi, grazie alla tecnologia, la possibilità di guidare un'auto è consentita a tutte le persone con paraplegia. Anche una persona tetraplegica con una lesione spinale incompleta, che non abbia compromessa la piena funzionalità degli arti superiori, può riprendere la patente di guida.
La scelta dell'autovettura è ampia e comprende modelli con sedili girevoli per facilitare il trasferimento dalla carrozzina, sistemi di imbarco meccanizzato e porte scorrevoli. È necessario adattare l'auto attraverso alcune modifiche che consentano l'uso manuale di acceleratore, freno e frizione. Nel caso di una persona tetraplegica, sono necessarie anche modifiche sul volante per agevolarne la presa.
Nelle
Le ferrovie italiane mettono a disposizione della clientela con disabilità un servizio di accoglienza che può essere attivato in quasi tutte le stazioni. Riconoscono inoltre al viaggiatore disabile, attraverso la "Carta Blu" concessa a persone che hanno un grado di invalidità tale da venir loro riconosciuta anche l'indennità di accompagnamento, la possibilità di far viaggiare gratuitamente un accompagnatore.
Il viaggiatore con disabilità deve segnalare la sua presenza almeno 24 ore prima della partenza e compilare un modulo delle FS che indica il bisogno assistenziale: avrà in questo modo personale specializzato alla stazione di partenza, a quella di arrivo ed
L'aereo sta diventando il mezzo di trasporto più utilizzato.
In tutti gli aeroporti, nazionali e internazionali, è previsto un servizio d'accoglienza al check-in che si occupa di tutte le operazioni di imbarco e sbarco del passeggero con disabilità. Al momento della prenotazione del biglietto, occorre compilare un modello che comprende la descrizione del bisogno assistenziale. Alla partenza, è necessario presentarsi con almeno un'ora di anticipo. Nei grandi aeroporti esistono sale d'attesa riservate alle persone con disabilità. Chi viaggia con un solo accompagnatore potrà averlo al seguito; chi viaggia con un gruppo potrà comunque avere almeno un accompagnatore
La nave sta diventando il mezzo di trasporto più comodo per una persona in carrozzina.
I traghetti hanno da tempo camere e servizi per persone con disabilità, anche se è sempre bene fare una verifica. È comunque necessario segnalare la propria condizione e prenotare una camera accessibile, poiché, nella peggiore delle ipotesi, può capitare che ce ne sia solo una.
Le navi da crociera rappresentano una buona soluzione di viaggio; tutti gli spazi sono facilmente raggiungibili in carrozzina, sono dotate di ampi ascensori per raggiungere i diversi piani e hanno un certo numero di camere confortevoli con servizi attrezzati per viaggiatori disabili. Generalmente, l'unico problema può essere rappresentato dagli approdi, dove non è sempre garantita l'accessibilità, ma il personale di bordo è molto disponibile.
Un elemento, purtroppo, non secondario sono le tariffe piuttosto elevate per le camere più spaziose, soprattutto se, per diverse ragioni, si opta per una cabina ai piani più alti.
Prima di mettersi in viaggio, è consigliato verificare con l'azienda che gestisce il trasporto pubblico locale l'esistenza di corse abilitate alla salita e discesa assistita delle persone con disabilità, per evitare spiacevoli inconvenienti, come pedane rotte o assenti, fermate non idonee e barriere architettoniche di vario tipo.
È possibile viaggiare in camper, in roulotte o in tenda?
Un camper è, per definizione, una casa viaggiante e, come tale, solleva il viaggiatore da tutti i problemi logistici che un viaggio comporta. Nessuna ricerca di hotel e toilette, lunghe percorrenze senza difficoltà, ritmi domestici anche a migliaia di miglia da casa.
Oggi esistono sul mercato caravan già adattati, ed è anche possibile costruirne su misura. I camping sono ben organizzati in tutta Europa; in molte località esistono piazzole di sosta per camper; in alcune città è possibile sostare, ma solo per una notte.
La roulotte è più stanziale e ha il vantaggio di avere l'auto a disposizione. Anche in questo caso esistono
Esistono strutture ricettive e trasporti pubblici accessibili?
Una delle maggiori incognite per il viaggiatore in carrozzina è la difficoltà di individuare ristoranti e alberghi accessibili. Raramente le guide turistiche indicano le caratteristiche delle strutture in termini di presenza/assenza di barriere architettoniche e, anche quando un albergo si presenta con il simbolo della carrozzina, non significa che sia pienamente fruibile. Può accadere di trovare un ascensore dove non entra la carrozzina, un bagno con gradino o una sala ristorante con tre gradini.
A volte bastano piccoli interventi per risolvere la situazione (come smontare la porta del bagno o spostare i letti); altre volte l'unica soluzione è cercare un
Per una persona con lesione spinale, è possibile fare attività sportiva?
Fare attività sportiva è non solo possibile, ma consigliabile: l'esercizio sportivo si è rivelato infatti uno dei metodi più coinvolgenti per ottenere dalla persona con lesione spinale la collaborazione necessaria per intraprendere un efficace percorso riabilitativo.
L'idea di introdurre lo sport nella riabilitazione delle mielolesioni si deve a un medico inglese, il Dott. Guttmann, che fin dal 1944 creò un settore ad hoc presso l'Unità Spinale di Stoke Mandeville in Gran Bretagna.
Da allora questa pratica si è sempre più diffusa fino a rappresentare oggi una costante nel settore riabilitativo del para- e del tetraplegico.
I metodi di rieducazione tradizionali, dagli esercizi di rinforzo muscolare alla deambulazione, alla mobilizzazione passiva, vengono sempre più frequentemente integrati dalla pratica di attività sportive con lusinghieri risultati.
Il metodo, cosiddetto di "sport-terapia", può essere effettuato durante la degenza ospedaliera non appena le condizioni generali del paziente lo consentono: compatibilmente col livello di lesione, questo può essere possibile anche già quattro-cinque mesi dopo l'evento lesivo.
Quali vantaggi può offrire la pratica di un’attività sportiva nella riabilitazione di una persona con lesione spinale?
È dimostrato che l'esercizio sportivo, oltre a migliorare la funzionalità degli apparati circolatorio e respiratorio, favorisce l'esercizio di tutta la muscolatura non compromessa dalla lesione.
Altro vantaggio non secondario è quello del possibile recupero a livello psicologico: rispetto a una normale rieducazione motoria, spesso vissuta come atto metodico, quasi imposto, il gesto sportivo comporta da parte del paziente con lesione spinale l'impegno della sua intelligenza, della sua volontà e della sua partecipazione attiva.
La pratica di alcuni sport cosiddetti di squadra migliora inoltre lo spirito competitivo e la capacità di sentirsi parte di un gruppo.
Il raggiungimento di risultati
La pratica di attività sportive richiede un addestramento particolare all'uso della carrozzina?
L'addestramento all'uso della carrozzina è previsto come fase preliminare ad ogni pratica sportiva, tranne il nuoto, a cominciare dall'apprendimento delle manovre di base, di gradualità nella spinta, dapprima di corsa in linea retta, poi su percorsi/slalom creati con appositi ostacoli.
Naturalmente, tutto ciò deve avvenire con gradualità, attraverso una serie di sedute di allenamento di difficoltà via via sempre maggiore, verificando anche gli eventuali progressi ottenuti. A tale scopo, vengono inseriti esercizi di guida anche su terreni diversi, come l'asfalto o il selciato. Il risultato finale deve essere l'acquisizione da parte del paziente di una padronanza sempre crescente nella gestione e nel manovrare la carrozzina, indispensabile per seguire ogni programma di sport-terapia.
L'addestramento si rivelerà fondamentale, in particolare, per raggiungere quella sicurezza nei movimenti e quell'indipendenza negli spostamenti che serviranno poi nella vita di tutti i giorni per affrontare e superare ostacoli e situazioni complesse.
Quali sono gli sport che una persona con lesione spinale può praticare più facilmente e quali sono i benefici sul piano riabilitativo?
Occorre anzitutto distinguere tra sport a livello agonistico e attività sportive inquadrabili nel contesto di un programma riabilitativo.
Prendendo in esame in questa sede solo quest'ultimo aspetto, le attività sportive che risultano molto utili sono il ping-pong, il tennis, il tiro con l'arco, il nuoto, la scherma e alcuni sport di squadra, come il basket e il rugby.
Il tennis comporta un notevole impegno e, quindi, un importante rinforzo muscolare, sia per gli spostamenti che occorre imprimere con un braccio alla carrozzina, sia per la rapidità con cui deve agire l'altro arto superiore, impegnato con la
È possibile per una persona con lesione spinale fare attività agonistica? Quali sono gli sport praticabili?
La pratica da parte dei disabili dello sport, anche a livello agonistico, è ormai molto diffusa sia in Italia che all'estero.
È possibile e frequente, per la persona con lesione spinale, il graduale passaggio dalla fase di attività sportiva in funzione riabilitativa a quella di vera e propria attività agonistica: a questo scopo ha contribuito molto il sorgere di società sportive ad hoc in diverse città italiane e l'organizzazione, sia a livello regionale che nazionale, di appositi campionati per disabili.
Molti sono gli sport oggi riconosciuti ufficialmente, coordinati e gestiti dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP), a cui sono affiliate un
Vengono organizzati anche campionati sportivi per persone con mielolesione a livello nazionale e internazionale?
In Italia, sotto l'egida del CIP, vengono organizzati annualmente numerosi campionati che, attraverso i livelli zonali e regionali, si concludono poi in manifestazioni nazionali.
Sempre tramite l'affiliazione al CIP e attraverso apposite selezioni curate dal Comitato stesso, l'atleta persona con lesione spinale può partecipare alle competizioni internazionali che si svolgono annualmente a livello europeo e mondiale e che culminano, ogni quattro anni, nelle Paralimpiadi.
A livello internazionale, si celebravano ogni anno i cosiddetti Giochi Internazionali per disabili. I primi si tennero negli anni '50, voluti e organizzati dallo stesso Dr. Guttmann, cui si deve la nascita dello
Quali ausili o interventi tecnici facilitano la pratica di attività sportive da parte di una persona con lesione spinale?
I più importanti adattamenti o interventi riguardano la carrozzina, soprattutto per il suo utilizzo a livello agonistico. Negli ultimi anni si è assistito a un notevole salto di qualità, frutto tanto dell'introduzione di raffinate tecnologie quanto dell'uso di nuovi materiali: l'adozione di fibre di carbonio e titanio, così come di pneumatici in seta, ha notevolmente ridotto il peso delle carrozzine, senza nulla togliere alla resistenza che devono offrire alle sollecitazioni durante le gare.
In particolare, per le competizioni di atletica leggera e per le corse, sono utilizzate carrozzine speciali dotate di tre ruote e di dispositivi che riducono
Questo documento fa parte del libro Blue Book, 201 risposte alla mielolesione ed è stato realizzato grazie alle vostre donazioni.
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